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Ecco perchè un ospedale non può essere una “azienda”

(nella foto Alberto Sordi nel film “Il medico della mutua”)

Le logiche di mercato tipiche dell’azienda non si possono applicare ad un luogo di cura e assistenza come l’ospedale. Vediamo perchè in questo articolo

 

Hanno destato molto scalpore le parole di Papa Bergoglio contro la mercificazione della sanità. La sanità, ha affermato il Papa, “ha posto in primo piano le esigenze di riduzione dei costi ” ponendo “in secondo piano l’attenzione alla persona”.[1]

A seguito dell’applicazione dei decreti legislativi 502/92[2] e 517/93[3] gli ospedali sono stati gradualmente trasformati in aziende. I decreti furono varati in un contesto di contenimento della spesa sanitaria in un contesto più ampio di razionalizzazione della spesa pubblica (era il periodo di “tangentopoli” e della svalutazione della Lira). Questi due decreti, molto importanti, modificarono profondamente il nostro sistema sanitario che rimase tuttavia un sistema pubblico. L’obiettivo fondamentale era introdurre all’interno di un sistema sanitario pubblico dei meccanismi di libero mercato, di competizione e di concorrenza al fine di migliorare l’efficacia e efficienza del sistema. Ciò ha però portato le aziende sanitarie a comportarsi sempre più secondo logiche di mercato, a scapito della qualità e della sicurezza, determinando le seguenti condizioni patologiche:[4] [5]

  • tendenza ad effettuare prescrizioni farmaceutiche e specialistiche inutili
  • tendenza ad effettuare più interventi chirurgici del necessario, anche in assenza di indicazione clinica
  • tendenza ad operare dimissioni troppo frettolose, per liberare posti letto da destinare a nuovi ricoveri
  • tendenza a trattare alcune patologie rispetto ad altre perché più convenienti
  • tendenza dei sanitari a ricoverare il paziente per brevi periodi, o con ricoveri ripetuti
  • gestione personalistica dei pazienti.[6] 

Tutto ciò è in antitesi con il concetto di cura perché l’ospedale non deve erogare solo cure che garantiscono margine di guadagno ma cure universali per tutti i pazienti. L’obiettivo della sanità pubblica non è creare ricchezza ma creare valore per tutta la società, attraverso la soddisfazione dei bisogni di salute dei cittadini. Non c’è dubbio, allo stesso tempo, che è necessario eliminare gli sprechi e limitare i costi, in quanto le risorse destinate alla sanità non sono illimitate.

Si è scelto invece di trasferire i principi della “fabbrica” e della catena di montaggio all’interno degli ospedali, anteponendo cosi i valori economici e produttivi all’etica e al diritto alle cure. Non che l’impresa e l’industria non siano importanti, anzi, lo sono sicuramente, ma i criteri economici non possono trovare applicazione in un campo come quello sanitario, in cui l’obiettivo è il benessere delle persone e non il guadagno. 

La sanità ha un costo ma la malattia ha un costo ancora più grande. Secondo uno studio il costo economico della malattia in età lavorativa è pari al 7% del PIL , quindi investire nella salute della popolazione significa investire anche nello sviluppo e nella potenza economica di un paese.[7] 

Anche la scritta che campeggia sui nostri ospedali, “Azienda”, non si può guardare ormai senza provare un certo sgomento. Siamo certi che presto questo termine sarà sostituito da una definizione più rispettosa della dignità e della natura umana.

Anche l’affidamento della responsabilità ad un’unica figura, il Direttore Generale, sembra ormai un’idea antiquata. La gestione strettamente gerarchica, poiché si basa sulla presunta capacità di una singola persona “al comando”, in realtà non può far fronte da sola un sistema complesso come un ospedale. I modelli alternativi di gestione della complessità, come le ultime evidenze suggeriscono, sono più efficaci perchè si concentrano su meccanismi e strategie quali leadership distribuita, responsabilità decentralizzata, costruzione di relazioni, coinvolgimento delle persone, dove piuttosto che comando e controllo sono necessari dialogo e feedback tra le parti.[8] 

 

Rischi per pazienti e operatori

Le logiche “mercantili” tipiche dell’azienda non sono senza conseguenze, sia per pazienti che operatori. Facciamo solo alcuni esempi.

Il ricorso a cooperative esterne per il servizio infermieristico o a contratti di lavoro precario per i medici determina un ricambio continuo di professionalità nei reparti di degenza.[9] Ciò si scontra con la necessità di tenere a lungo il personale. La legge 24/2017 (più nota come legge “Gelli”)[10] impone che i sanitari e quindi la struttura debbano attenersi alle miglior linee guida per la cura dei pazienti, ciò comporta obblighi di formazione del personale che viene vanificata dal continuo ricambio del personale.

L’incentivo ad aumentare l’efficienza dell’ospedale, per esempio attraverso la riduzione della degenza media, è rischioso per il paziente. Esemplare è una sentenza del 2011: un medico è stato condannato per omicidio colposo (con sentenza definitiva) per aver dimesso prematuramente un paziente ancora bisognoso di cure, per rispettare le direttive ospedaliere sul tasso di occupazione dei posti letto.[11]

Spesso le direzioni aziendali agiscono in risposta a specifici imput da parte delle Regioni, laddove tendono a non agire in mancanza di tali direttive. Infatti predisporre attività di prevenzione, monitoraggio, aggiornamento, formazione ha un costo che andrebbe a gravare sul bilancio dell’azienda, facendo rischiare a chi la dirige il disavanzo di gestione e quindi il mancato rinnovo dell’incarico al Direttore Generale. E se questi imput vengono a mancare non si agisce, come si è visto in occasione dell’emergenza Coronavirus, con tutte le conseguenze del caso. Un altro esempio sono le infezioni ospedaliere: i piani di prevenzione delle infezioni ospedaliere in Italia sono quasi inesistenti perché, nella gestione aziendalistica delle ASL sono annoverati tra i costi e, quindi, depennati e cancellati da ogni programmazione.

I vincoli finanziari conseguenti alla crisi economica hanno portato molte strutture ad una riorganizzazione dei servizi che si è tradotta, nella maggioranza dei casi, in una riduzione del personale medico ed infermieristico. Ciò non è senza conseguenze. E’ accertato che un aumento del carico di lavoro per i medici, gli infermieri e altri operatori comporta più rischi sanitari per il paziente.[12, 13] 

Un’altra distorsione dell’azienda è quella relativa ai parti cesarei inutili (parliamo di un intervento che aumenta di quattro volte i rischi per la donna). La percentuale ottimale di parti cesarei non deve superare, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 15% del totale (in Olanda, per esempio, sono del 10%). In Italia la percentuale arriva al 23,3% con differenze importanti tra le varie regioni, in Campania, ad esempio, la media è del 40% con punte, in alcuni ospedali, del 70%.[14] 

Tralasciamo poi di parlare di comportamenti criminali veri e propri, come abbiamo visto in questo articolo.

 

Esiste un modello alternativo?

Il rischio di uno scadimento qualitativo dovuto ad un eccessivo contenimento della spesa ha portato il sistema sanitario inglese ad introdurre il concetto di “Clinical Governance” (Governo clinico). Con tale termine non si intende il “governo dei clinici” ma si identifica un sistema di organizzazione dei servizi sanitari il cui obiettivo è assicurare che i pazienti ricevano la migliore qualità delle cure con il minor consumo di risorse e il minor rischio di danni al paziente.[15] Questo processo di modernizzazione del sistema sanitario si sta diffondendo anche in Italia. Ne abbiamo parlato in questo articolo.

 

 

In un altro articolo abbiamo parlato del sistema sanitario statunitense (qui).

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BIBLIOGRAFIA

[1]Papa Francesco: “Aziendalizzazione della sanità ha messo in secondo piano l’attenzione alla persona”. Ma ad essere mortificato è anche “chi ci lavora con turni massacranti e stress”. E su obiezione di coscienza: “Scelta da compiere con rispetto verso chi la pensa diversamente”. Articolo pubblicato online sul quotidiano di informazione sanitaria QuotidianoSanità il 17 maggio 2019

[2] D.Lgs. n. 502/1992. “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421

[3] D.lgs 517/1993. “Modificazioni al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421

[4] Azienda ULSS 18 – Rovigo. “Etica dell’organizzazione in sanità” a cura del Comitato per la pratica clinica di Rovigo. 2011

[5] Assistenza medica: una nuova visione della sanità pubblica“. Articolo pubblicato sul portale di informazione giuridico/sanitaria “Responsabile Civile” il 01-07-2019

[6] Corte di Cassazione, IV sezione penale, sentenza n. 20270/2019. Pag. 7

[7] Trasmissione Rai “Presadiretta” dell’11 marzo 2024. Intervista al Dott. T. Carradori, Direttore Generale AUSL Romagna 

[8]Donaldson L., Ricciardi W., Sheridan S., Tartaglia R. “Manuale di sicurezza del paziente e gestione del rischio clinico”. Cultura e Salute Editore, Perugia, 2022. Pagg. 515-516

[9] “«Lavoro in Pronto soccorso ma non sono preparata», la storia del medico a gettone che scuote la sanità.” Articolo pubblicato sul portale di informazione sanitaria “Sanitàinformazione” il 01-07-2019

[10] Legge n. 24/2017. “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie

[11] Corte di Cassazione, quarta sezione penale, sentenza n. 8254/2011

[12] Ministero della Salute. “Risk Management in Sanità. Il problema degli errori”. Commissione Tecnica Rischio Clinico. 2004, Allegato 5

[13] Ministero della Salute. “Sicurezza dei pazienti e gestione del rischio clinico: manuale per la formazione degli operatori sanitari”. Roma, 2006, pag. 48

[14] Agenas “Programma Nazionale Esiti – PNE Edizione 2018” (relativi all’anno 2017)

[15] Department of Health, NHS Executive. Information for health: an information strategy for the modern NHS. 1998

 

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