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Responsabilità del soccorritore per rifiuto al trasporto del paziente

Il rifiuto al trasporto del paziente critico in ospedale può esporre il soccorritore a responsabilità colposa, in caso di danni al paziente. Vediamo perché

 

Una recente sentenza[1] della Cassazione ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il delicato tema del soccorso in emergenza e dei rischi ad esso associati. Nella fattispecie un autista-soccorritore di ambulanza è stato condannato per omicidio colposo perchè, chiamato dalla Centrale Operativa 118 ad effettuare un soccorso presso un’abitazione privata, rifiutava senza motivo l’immediato ricovero del paziente in ospedale, paziente successivamente deceduto (si ricorda che le sentenze della Cassazione costituiscono l’ultimo grado di giudizio, pertanto sono definitive).

Nell’occasione il soccorritore, in qualità di “Team Leader” del mezzo e quindi di soggetto responsabile dell’intervento, poneva in atto tutta una serie di comportamenti impropri, in particolare: effettuava valutazioni proprie sullo stato di salute del paziente pur non avendone la qualifica, ometteva di acquisire dati indispensabili al corretto inquadramento del paziente (es. parametri vitali) e soprattutto rifiutava il trasporto del paziente in ospedale, cosa che era stata espressamente richiesta dalla Guardia medica intervenuta in precedenza nell’abitazione e che costituiva il motivo principale della chiamata al 118, per consigliare invece di propria iniziativa ai familiari di “chiamare il medico di base”.

La Cassazione giudicava questo comportamento gravemente colposo, considerando inequivocabile la sussistenza di una relazione tra il comportamento dell’operatore e il danno subito dal paziente, cioè, in sostanza, un rapporto di causa-effetto tra il mancato trasporto del paziente e il decesso. Per la Cassazione il soccorritore “aveva l’obbligo giuridico di attivarsi in quanto la paziente presentava segni di un’emorragia intestinale che avrebbero indotto un soccorritore diligente ad effettuare il trasporto immediato in ospedale”, questo comportamento infatti “avrebbe evitato con elevata probabilità l’evento morte in quanto la patologia di cui soffriva la paziente poteva essere diagnosticata e agevolmente curata”.

Ma cosa vuol dire subire una condanna per “omicidio colposo”? Nel reato di omicidio colposo, come in tutti i reati “colposi”, il soggetto autore del reato non vuole intenzionalmente commettere il reato ma l’evento si verifica ugualmente per sua colpa a causa di negligenza, imperizia, imprudenza, oppure per inosservanza di leggi, ordini, regolamenti e discipline.[2] La colpa per il soggetto in questi casi deriva dal fatto che, pur potendo prevedere che la sua azione è tale da produrre conseguenze dannose o pericolose, agisce lo stesso con scarsa attenzione o con leggerezza, senza cioè adottare quelle precauzioni che avrebbero impedito il verificarsi dell’evento.[3] 

I guai per i responsabili in questi casi non sono solo di natura penale ma anche civile; il nostro ordinamento consente infatti al paziente, o in caso di decesso dello stesso ai suoi familiari, di avanzare una richiesta di risarcimento per i danni subiti, già durante lo stesso processo penale. Secondo normativa, infatti: “Ogni reato, che abbia cagionato un danno (…), obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”.[4] 

L’operatore in questione ha posto in essere comportamenti al di fuori non solo di qualunque regola ma anche di buon senso. La condizione di maggiore fragilità psico-fisica di una persona si manifesta in particolare nel bisogno di assistenza in emergenza, per queste ragioni, ancor di più, comportamenti come quello sopra descritto sono inescusabili e ingiustificabili.

 

 

In un altro articolo abbiamo parlato dei rischi lavorativi per i soccorritori del sistema di emergenza 118 (link).

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BIBLIOGRAFIA

[1] Corte di Cassazione, quarta sezione penale, sentenza 25334/2022

[2] Art. 43 c. p. “Elemento psicologico del reato

[3] Ibidem

[4] Art.185 c.p., comma 2 

 

Foto di Andrzej Rembowski da Pixabay

 

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