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Evidenze nel trattamento del paziente anziano con frattura di femore

Disponibili nuove linee guida in materia di trattamento delle fratture di femore nel paziente anziano. Vediamo insieme i tratti salienti

 

Le fratture di femore nell’anziano rappresentano un evento grave, con un impatto significativo sulla qualità di vita del paziente e ricadute considerevoli in termini di salute pubblica. Tale evenienza assume ancor più importanza se si considera il trend demografico attuale che vede l’Italia tra i paesi più “vecchi” al mondo con più di un quinto della popolazione “over 65”, pertanto potenzialmente a rischio di andare incontro, con gli anni, a questo temibile evento. L’ISTAT stima che nel 2040 questa quota possa arrivare ad un terzo del totale dei residenti.[1]

A fronte dell’evidente rilevanza del problema, la Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT) ha pubblicato una nuova linea guida inerente il trattamento delle fratture di femore nell’anziano, basata su prove di efficacia. La linea guida si occupa, nello specifico, dello studio e trattamento delle fratture prossimali del femore cioè quelle interessanti la porzione dell’osso che si articola con il bacino, che sono quelle di più frequente osservazione in ortopedia. La linea guida si pone come riferimento a livello nazionale per la stesura di protocolli o procedure da parte delle strutture sanitarie. L’iniziativa è stata valutata positivamente dagli addetti ai lavori anche alla luce della legge n. 24/2017 (c.d. legge “Gelli”) sulla responsabilità professionale sanitaria e la sicurezza delle cure, che richiede ai professionisti sanitari (medici, infermieri, ecc.) di attenersi alle buone pratiche clinico-assistenziali e alle raccomandazioni indicate dalle linee guida nello svolgimento delle proprie attività.[2] Ricordiamo a tal proposito che l’Ortopedia rappresenta una delle specialità in cui il rischio clinico risulta essere più consistente e, di conseguenza, a maggior rischio di contestazioni di carattere medico-legale. 

Complessivamente la linea guida segue l’intero percorso intraospedaliero del paziente con frattura di femore, dall’arrivo in ospedale alla dimissione. Le raccomandazioni contenute nella linea guida sono destinate a tutti gli operatori sanitari a vario titolo coinvolti nel processo di cura e assistenza (Medici, Infermieri, Fisioterapisti, Direzioni Sanitarie, ecc.) ma anche a cittadini e pazienti.

Non si può qui fornire un quadro completo della linea guida, si rimanda per eventuali approfondimenti al testo integrale disponibile gratuitamente a questo link, limitandoci per brevità a descriverne di seguito solo alcuni.

Intervento chirurgico tempestivo

La linea guida raccomanda di sottoporre ad intervento chirurgico i pazienti con frattura del femore nel più  breve tempo possibile, ovvero il giorno dell’arrivo in ospedale (entro 24 ore dall’arrivo) o, al  più tardi, il giorno successivo (entro 48 ore dall’arrivo).[3] Ciò costituisce tra l’altro, in ambito ospedaliero, uno degli indicatori di qualità più efficaci.[4] Gli ultimi dati indicano purtroppo che la quota di anziani ultrasessantacinquenni con frattura del collo del femore trattata chirurgicamente entro 2 giorni è leggermente diminuita rispetto all’anno precedente.[5]

Va considerato che il ritardo dell’intervento, oltre ad aumentare il rischio di mortalità e  l’incidenza di complicanze, comporta un prolungamento del dolore, il cui trattamento più efficace è costituito proprio dall’intervento chirurgico.

Nei pazienti con frattura del femore determinate alterazioni/comorbilità si riscontrano così di frequente che la loro presenza dovrebbe essere ricercata già all’arrivo del paziente in ospedale e si dovrebbero istituire protocolli appositi per la loro gestione tempestiva, al fine di non ritardare l’intervento (es. anemia, disidratazione, deficit  della  coagulazione,  ipovolemia,  disordini  elettrolitici  ed  aritmie, ecc.).

Gestione del dolore

Il  dolore  è  uno  dei  sintomi  più  significativi  per  il  paziente  con  femore  fratturato.  È essenziale garantire un adeguato controllo del dolore già all’arrivo in Pronto Soccorso, anche in caso di deterioramento cognitivo, e poi per tutto il percorso assistenziale successivo.[6]

Il trattamento del dolore deve essere tempestivo e iniziare prima di effettuare manovre che richiedano la mobilizzazione del paziente (es. procedure diagnostiche), questo anche in considerazione dell’impatto che il dolore può avere a livello fisiologico e psicologico su un paziente che è in genere anziano e quindi particolarmente fragile.

La somministrazione di analgesici per via sistemica vede l’uso del paracetamolo ogni 6 ore come soluzione di prima scelta, a meno di controindicazioni. Se il paracetamolo da solo non è sufficiente si possono somministrare oppioidi, purché in dosaggio adeguato all’età del paziente e monitorando la possibile comparsa di effetti collaterali. È sconsigliato l’uso di farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) per il rischio emorragico in pazienti in concomitante terapia con anticoagulanti e/o antiaggreganti. L’alternativa alla somministrazione di analgesici per via sistemica è il blocco nervoso periferico.

Mobilizzazione e riabilitazione precoce post-operatoria

Il primo passo nel recupero della funzione del paziente anziano è costituito dalla sua mobilizzazione precoce, che è segno di qualità dell’assistenza, e obiettivo da perseguire, in quanto potenzialmente in grado di ridurre la durata del ricovero, cosi come le complicanze legate al prolungato allettamento, quali delirium, ulcere da pressione, trombosi venosa profonda e favorire il ritorno del paziente al suo ambiente di vita normale. Si raccomanda di agire sul paziente con l’obiettivo di consentire il carico completo nell’immediato periodo post-operatorio (salvo controindicazioni). Si raccomanda la mobilizzazione precoce da parte di un fisioterapista, con almeno una seduta di mobilizzazione al giorno, a meno di controindicazioni mediche o chirurgiche.[7]

Bisogna tener presente che un’adeguata gestione del dolore nel periodo postoperatorio è essenziale per avviare la mobilizzazione precoce.

Favorire l’adozione del modello ortopedico/geriatrico

L’elevata complessità clinica e funzionale dei pazienti anziani con frattura di femore richiede un approccio multidisciplinare. Il modello assistenziale tradizionale, ancora diffuso in Italia, prevede che il paziente sia ricoverato in un reparto di ortopedia e il team ortopedico abbia la responsabilità totale delle cure prestate.

In realtà nel post-operatorio, la maggior parte delle esigenze dei pazienti più anziani con frattura del femore sono correlate a problemi medici, spesso trascurati, per questo accanto al chirurgo ortopedico è necessario prevedere la presenza dello specialista geriatra per monitorare e rilevare quotidianamente eventuali complicanze mediche, cosi da intervenire tempestivamente in caso di bisogno. La co-gestione ortopedico/geriatria (con il coinvolgimento fattivo del geriatra, non la semplice consulenza una tantum) è attualmente riconosciuta in tutto il mondo come il “gold standard” delle cure, poiché è dimostrato che rispetto alle cure tradizionali diminuisce la degenza, il tempo pre-intervento, le complicanze e la mortalità ospedaliera.[8] 

Percorso riabilitativo

Dopo il recupero della stazione eretta e la concessione del carico (se non espressamente controindicato), il percorso riabilitativo prosegue senza interruzioni in post-acuzie nel setting riabilitativo più adeguato alle condizioni del paziente. In genere sono possibili tre scenari: a) riabilitazione intensiva (almeno 3 h/giorno di fisioterapia per il recupero di disabilità importanti ma modificabili); b) riabilitazione estensiva/lungodegenza riabilitativa (almeno 1h/giorno per il recupero funzionale di pazienti non autosufficienti e clinicamente instabili che necessitano di ospedalizzazione); c) riabilitazione ambulatoriale o a domicilio (con fisioterapista a casa, che spesso rappresenta la naturale prosecuzione dei percorsi riabilitativi integrati precedenti).

Il prolungamento del percorso riabilitativo consente di consolidare il recupero motorio, migliorare lo stato funzionale e l’equilibrio, riducendo così il rischio di successive cadute e la conseguente disabilità.[9]

 

In un altro articolo abbiamo parlato del trattamento extra-ospedaliero della frattura di femore (link).

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BIBLIOGRAFIA

[1]ISTAT. Previsioni demografiche 2017-2065

[2] Legge n. 24/2017. “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”. Art. 5

[3] Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia. “Fratture del femore prossimale nell’anziano. Linea guida SIOT 2021”. Pag. 17

[4] Davoli M., Basiglini A. “Indicatori PNE: istruzioni per l’uso“. Monitor, rivista trimestrale dell’AGENAS. Anno XVIII numero 43 2018, pag. 14

[5] Agenas. “Programma nazionale esiti”, edizione 2021. Pag. 37

[6] Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia. “Fratture del femore prossimale nell’anziano. Linea guida SIOT 2021”. Pag. 22

[7] Ibidem. Pag. 50

[8] Ibidem. Pag. 54

[9] Ibidem. Pag. 51-52

 

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