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Il modello organizzativo dell’ospedale per intensità di cure

Nell’ospedale per intensità di cure i pazienti vengono raggruppati In base ai bisogni clinico-assistenziali indipendentemente dalla patologia di base. Ma come funziona esattamente?

 

Una criticità del modello ospedaliero attuale è rappresentata dall’inappropriatezza dei ricoveri dal punto di vista assistenziale. Da uno studio[1] è emerso che l’inappropriatezza è riconducibile, nella maggior parte dei casi, al ricovero in reparti che non sono adatti per la complessità assistenziale del paziente.

Tra i modelli alternativi, quello per intensità di cure appare essere il modello organizzativo che più di altri sta prendendo piede, soprattutto nel nord Italia.

Il concetto di intensità di cure è un concetto che fonda l’organizzazione della struttura ospedaliera non più sulla presenza di unità specialistiche, come fatto finora, ma sulla base delle necessità cliniche del paziente e della conseguente dipendenza assistenziale. Prende spunto dal Progressive Patient Care model (PPC), una forma di progettazione organizzativa ospedaliera, secondo cui i pazienti devono essere raggruppati e disposti all’interno dei diversi settori in base al grado di complessità della situazione che presentano, in maniera diversa dalla più tradizionale allocazione nei reparti sulla base della patologia prevalente.[2]

In questo modello il livello di cura richiesto dal singolo caso consegue ad una valutazione medico-infermieristica basata su due fattori: il grado di instabilità clinica e il grado di complessità assistenziale. Il criterio dell’instabilità clinica, di competenza medica, si basa sulla condizione clinica del paziente e sulla valutazione dei parametri vitali. La complessità assistenziale, di competenza infermieristica, riguarda l’insieme delle prestazioni infermieristiche espresse in termini di intensità d’impegno e quantità di lavoro dell’infermiere.[3]

A volte instabilità e complessità assistenziale coincidono perfettamente, in altri casi invece no. Non sempre a un elevato bisogno di cure corrisponde un’elevata necessità di assistenza, così come, al contrario, non sempre soggetti che richiedono elevati livelli di assistenza necessitano di cure elevate. Alla luce di ciò, diviene necessario analizzare la complessità clinica sia dal punto di vista medico che assistenziale, per arrivare infine ad una valutazione congiunta che permetta di individuare il setting più appropriato per il paziente. Uno strumento è rappresentato da una tabella a doppia entrata per la determinazione della complessità medico-infermieristica secondo l’esempio riportato in figura dove il valore MEWS (Modified Early Warning Score), di competenza medica, determina l’instabilità clinica del paziente[4] e il valore IDA (Indice di Dipendenza Assistenziale) determina l’impegno assistenziale infermieristico.

In base al risultato ottenuto incrociando i due indicatori si individuano tre livelli di intensità di cure: bassa, media, alta intensità di cura. Maggiore è l’instabilità clinica e la complessità assistenziale, più intenso è il livello di cura richiesto (terapia intensiva o subintensiva) minore è l’instabilità clinica e la complessità assistenziale, meno intenso sarà il livello di cura (low care o post-acuzie). Per es. un IDA di 11 e un MEWS di 0 danno alta intensità. In questo caso ad una bassa instabilità clinica si accompagna un’alta complessità assistenziale (es. Ictus).

Ci sono realtà ospedaliere in cui tutte le singole unità operative sono state ricollocate in livelli per bassa, media, alta intensità di cura (es. area intensiva, area chirurgica, area ambulatoriale, ecc.) oppure dove un singolo reparto è stato diviso nei vari livelli assistenziali.

Nell’immagine sottostante un prospetto riepilogativo del modello ospedaliero basato sull’intensità di cure.

Il processo di riorganizzazione ospedaliera per intensità di cura non deve chiudersi alle porte dell’ospedale, ma deve essere pensato alla luce del passaggio successivo, il legame con il territorio. A tal proposito aspetto cruciale diviene quello delle dimissioni protette. Una volta che l’ospedale ha espletato il suo servizio, diviene fondamentale che il territorio sia pronto ad accogliere il paziente. Infatti, ancora oggi il paziente anziano con patologie croniche (es. tumori, diabete, malattie cardiovascolari o polmonari) viene dimesso dall’ospedale senza una reale presa in carico da parte del servizio sanitario, cosa che facilita con il tempo la riacutizzazione della malattia e la conseguente riammissione in ospedale, contribuendo, tra l’altro, al sovraffollamento dei Pronto Soccorso.[5] Ne abbiamo parlato in questo articolo.

 

 

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BIBLIOGRAFIA

[1] Augellone E., Enei R., Gaetani L., Mitello L., Paolucci S., Pochini A., Ursumando D. “Dal Team Accoglienza al Bed Management Ospedaliero”. Professioni Infermieristiche, 2013

[2] Giovanna Vicarelli, Guido Giarelli. “Libro Bianco. Il Servizio Sanitario Nazionale e la pandemia da Covid-19. Problemi e proposte”. FrancoAngeli editore, Milano 2021. Pag. 137 (link)

[3]Intensità di cura e complessità assistenziale: concetti sovrapponibili?”. Rivista di Management per le professioni sanitarie, Maggioli Editore, 2012. Pag. 10

[4] C.P. Subbe, M. Kruger  , P. Rutherford ,L. Gemme, “Validation of a modified Early Warning Score in medical admissions”, QJM :Volume 94, Issue 10 Pp. 521-526

[5] Berchet, C. (2015), “Emergency Care Services: Trends, Drivers and Interventions to Manage the Demand”, OECD Health Working Papers, No. 83, OECD Publishing, Paris

 

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