È opportuno consentire la presenza della famiglia durante la rianimazione preospedaliera? Ma quali conseguenze? E come gestire la scena? Vediamolo in questo articolo
I Pronto Soccorso, i reparti intensivi e i servizi di emergenza 118 sono gli ambiti in cui, in virtù del tipo di assistenza svolta, è più frequente fare ricorso alle manovre di rianimazione cardiopolmonare. In generale, l’obiettivo principale della rianimazione cardiopolmonare è salvare la vita del paziente, e ciò richiede il massimo livello di attenzione e concentrazione da parte del personale sanitario coinvolto.
In tali occasioni, mentre in ospedale si opera in un ambiente protetto e ci si può concentrare solo sul paziente, diverso è il caso della rianimazione preospedaliera dove ci si muove in un ambiente estraneo, come può essere un ufficio, un cantiere, una strada affollata o un centro commerciale, più sovente l’abitazione del paziente, con la famiglia presente, magari posta dinanzi all’aggravarsi o alla morte del proprio congiunto. Come gestire questa situazione? I familiari dovrebbero essere presenti o no durante la rianimazione? La loro eventuale presenza può influire sulla performance degli operatori sanitari? La loro testimonianza può aumentare il rischio di azioni legali?
Dalle ricerche emerge che i familiari sono favorevoli ad assistere alla rianimazione, se ciò gli è permesso, e pertanto dovrebbe essere offerta loro l’opportunità di rimanere con la persona amata in tali frangenti.[1, 2, [3]
Quali sono i benefici? I familiari che assistono alla rianimazione vedono che è stato fatto ogni possibile tentativo per salvare la persona amata, sono più soddisfatti e meno inclini a intentare eventuali azioni legali per negligenza o malpractice. Essere presenti diminuisce l’ansia e la paura dei membri della famiglia riguardo a ciò che sta accadendo alla persona amata e fornisce agli stessi i mezzi per comunicare eventuali informazioni importanti sul paziente agli operatori sanitari.[4] Uno studio ha valutato a distanza di tempo lo stato emotivo di coloro che avevano assistito alla rianimazione senza riscontrare effetti psicologici avversi, anzi, tutti gli intervistati si erano dimostrati contenti della possibilità di rimanere con il proprio caro.[5]
Queste conclusioni sono condivise da molte organizzazioni professionali e società scientifiche, tra cui l’American Heart Association, l’American Association of Critical-Care Nurses, l’Emergency Nurses Association e il Resuscitation Council (UK). Secondo le linee guida dell’IRC (Italian Resuscitation Council) i soccorritori “dovrebbero offrire ai familiari dei pazienti in arresto cardiaco, l’opportunità di essere presenti durante le manovre di RCP, nei casi in cui, questa opportunità può essere garantita in sicurezza (..)”.[6]
il soccorritore può valutare la possibilità di consentire ai familiari di assistere alla rianimazione cardiopolmonare a patto che ciò non interferisca con la rianimazione e che i familiari siano adeguatamente preparati e informati sui rischi e sui procedimenti della rianimazione. Infatti, come in ogni intervento di soccorso è necessario mettere in sicurezza la “scena”, invitando le persone presenti a non interferire durante la rianimazione per non esporsi a eventuali pericoli come punture di aghi, scosse elettriche accidentali dal monitor cardiaco o DAE o schizzi di sangue o altri liquidi biologici. In ogni caso, la decisione finale spetta ai soccorritori, sulla base della situazione specifica del momento, che potrà essere differente caso per caso, dopo aver considerato le variabili relative al contesto, al paziente, alla scena.
La maggior parte dei soccorritori dovrebbe essere in grado di giudicare la scena e determinare se i familiari possiedono la stabilità emotiva per poter rimanere sulla scena e non diventare un pericolo o un ostacolo alla rianimazione. Per esempio, la presenza di familiari “aggressivi” potrebbe costituire un ostacolo al lavoro dei soccorritori e interferire con la loro capacità di compiere una rianimazione efficace. Difficilmente le persone sono agitate o aggressive in presenza di pazienti molto anziani o malati in fase terminale, in quanto in un certo senso già preparate a quello che immaginavano sarebbe accaduto. Anzi, in questi casi sono spesso gli stessi familiari che si oppongono al trasporto del paziente in ospedale, consapevoli che non vi sono più speranze.
L’importante è che i soccorritori comunichino con i familiari, in modo da ridurre l’ansia e lo stress. La rianimazione può essere uno spettacolo spiacevole per cui è necessario informare i familiari sulle manovre in corso man mano che l’invasività della rianimazione aumenta: dalle manovre BLS alla defibrillazione, dall’accesso venoso all’intubazione, ecc.[7]
Se non c’è risposta nonostante gli sforzi rianimatori è opportuno valutare anche l’ipotesi di interrompere le manovre. Questo significherà comunicare alla famiglia che il tentativo di rianimazione non ha avuto successo. Una maggiore competenza comunicativa e relazionale in questo senso da parte dei soccorritori potrebbe rappresentare un cambio di paradigma alla luce del fatto che spesso la scelta di continuare gli sforzi rianimatori, pur in assenza dei presupposti, e il conseguente trasporto del paziente in ospedale costituiscono un modo per evitare il contatto con i familiari e comunicare loro il decesso del proprio congiunto.[8]
Conclusioni
Spesso i membri dell’equipe sanitaria non consentono ai familiari di assistere alla rianimazione per il timore che questi possano interferire con le manovre rianimatorie, che abbiano traumi psicologici o che aumenti il rischio di eventuali azioni legali. Ciò non è supportato dalla letteratura, al contrario, molti studi dimostrano che la presenza della famiglia durante la rianimazione ha potenziali benefici psicologici sull’osservatore, non ha conseguenze negative sulla rianimazione né sulla frequenza delle azioni legali. Pertanto i soccorritori dovrebbero offrire alle famiglie la possibilità di assistere alla rianimazione, se lo desiderano, dopo averne valutato la fattibilità, spiegando quello che si sta facendo man mano che la rianimazione va avanti.
Dagli studi è emersa una scarsa preparazione del personale di emergenza preospedaliera nel gestire questo tipo di situazioni, in particolare l’aspetto relazionale con le famiglie, motivo per il quale sarebbe necessaria una maggiore formazione e addestramento.[9, 10, 11] Anche l’adozione di linee guida potrebbe essere utile a supportare i soccorritori in queste delicate fasi della rianimazione preospedaliera.
In un altro articolo abbiamo parlato della trombolisi preospedaliera per contrastare gli effetti dell’ictus ischemico (link).
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BIBLIGRAFIA
[1] De Stefano C, Normand D, Jabre P, et al. “Family Presence during Resuscitation: A Qualitative Analysis from a National Multicenter Randomized Clinical Trial”. PLoS One. 2016;11(6):e0156100. Published 2016 Jun 2
[2] Morrison LJ, Kierzek G, Diekema DS, et al. “Part 3: ethics: 2010 American Heart Association Guidelines for Cardiopulmonary Resuscitation and Emergency Cardiovascular Care”. Circulation. 2010;122(18 Suppl 3):S665-S675
[3] Morshedi B. “Good Grief! Should Family Members Be Present During Prehospital Resuscitations?”. EMS Med, 2021
[4] American Association of Critical-Care Nurses. “Family presence during resuscitation and invasive procedures”. Crit Care Nurse 1 February 2016; 36 (1): e11–e14
[5] Robinson SM, Mackenzie-Ross S, Campbell Hewson GL et al. “Psychological effect of witnessed resuscitation on bereaved relatives”. Lancet. 1998;352(9128):614-617
[6] ’Linee Guida IRC, Italian Resuscitation Council. Capitolo 12, “Etica della rianimazione e scelte di fine vita”. 2021
[7] Italian resuscitation council, European resuscitation council. “ALS-Advanced life support. Manuale di rianimazione cardiopolmonare avanzata”. Masson. Milano, 2001. Pag. 177
[8] Naess AC, Steen E, Steen PA. “Ethics in treatment decisions during out-of-hospital resuscitation”. Resuscitation. 1997;33(3):245–256
[9] Alex Ponce, Robert Swor, Tammie E. Quest, et al. “Death Notification Training for Prehospital Providers: A Pilot Study”. Prehospital Emergency Care, Volume 14, 2010
[10] VandeKieft GK. “Breaking bad news”. Am Fam Physician. 2001;64(12):1975-8
[11] Natalie Anderson,Julia Slark, Merryn Gott. “How are ambulance personnel prepared and supported to withhold or terminate resuscitation and manage patient death in the field? A scoping review“. The Australasian Journal of Paramedicine, vol. 16, 2019 (link)