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Rianimazione preospedaliera: gestione della famiglia sulla scena

È opportuno consentire la presenza dei familiari durante la rianimazione preospedaliera? Cosa può comportare? E come gestire la scena? Vediamolo in questo articolo

 

I Pronto Soccorso, i reparti intensivi e i servizi di emergenza 118 sono gli ambiti in cui, in virtù del tipo di assistenza svolta, è più frequente fare ricorso alle manovre di rianimazione cardiopolmonare.

Mentre in ospedale si opera in un ambiente protetto e ci si può concentrare solo sul paziente, diverso è il caso della rianimazione preospedaliera dove ci si muove in un ambiente estraneo, come può essere un ufficio, un cantiere, una strada affollata o un centro commerciale. Il luogo di più frequente riscontro è però l’abitazione del paziente, spesso con la famiglia presente, magari posta dinanzi all’aggravarsi o alla morte del proprio congiunto. Come gestire questa situazione? I familiari dovrebbero essere presenti o no durante la rianimazione? La loro eventuale presenza può influire sulla performance degli operatori sanitari? La loro testimonianza può aumentare il rischio di azioni legali?

Dalle ricerche emerge che i familiari vorrebbero, nella maggior parte di casi, assistere alla rianimazione e pertanto dovrebbe essere offerta loro questa opportunità.[1, 2, 3] Più controversa l’opinione dei soccorritori: da una ricerca condotta qualche anno fa il 57% del campione si dimostrava favorevole mentre il restante 43% affermava il contrario.[4]

Ci sono benefici? Si, per esempio i familiari che assistono alla rianimazione si persuadono che è stato fatto ogni possibile tentativo per salvare la persona amata, sono più soddisfatti e meno inclini a intentare eventuali azioni legali per negligenza o malpractice. Essere presenti diminuisce l’ansia e la paura dei membri della famiglia riguardo a ciò che sta accadendo alla persona amata e fornisce loro la possibilità di comunicare eventuali informazioni importanti sulla situazione clinica del paziente.[5] Uno studio ha valutato a distanza di tempo lo stato emotivo di coloro che avevano assistito alla rianimazione senza riscontrare effetti psicologici negativi, anzi, tutti gli intervistati si erano dimostrati grati della possibilità di rimanere con il proprio caro.[6]

Queste conclusioni sono condivise da molte organizzazioni professionali e società scientifiche, tra cui l’American Heart Association, l’American Association of Critical-Care Nurses, l’Emergency Nurses Association e il Resuscitation Council (UK). Secondo le linee guida dell’IRC (Italian Resuscitation Council) i soccorritori “dovrebbero offrire ai familiari dei pazienti in arresto cardiaco, l’opportunità di essere presenti durante le manovre di RCP, nei casi in cui questa opportunità può essere garantita in sicurezza”.[7]

il soccorritore può consentire ai familiari di assistere alla rianimazione cardiopolmonare a patto che ciò non interferisca con la rianimazione. Infatti, come in ogni intervento di soccorso lo “scenario” è la priorità per cui è necessario evitare che le persone presenti possano interferire durante la rianimazione o esporsi a eventuali pericoli come punture di aghi, scosse del defibrillatore o schizzi di sangue o altri liquidi biologici.

I soccorritori dovranno quindi valutare se i familiari possiedono la stabilità emotiva per poter assistere alla rianimazione e non diventare un pericolo o un ostacolo alle manovre. Per esempio, la presenza di familiari “aggressivi” potrebbe costituire un intralcio al lavoro dei soccorritori e interferire con la loro capacità di compiere una rianimazione efficace. Ciò potrebbe verificarsi nell’assistenza a pazienti ancora giovani o bambini. Difficilmente le persone sono agitate o aggressive in presenza di pazienti molto anziani o malati in fase terminale, in quanto in un certo senso già preparate a quello che immaginavano prima o poi sarebbe accaduto. Anzi, in questi casi sono spesso gli stessi familiari che si oppongono al trasporto del paziente in ospedale, consapevoli che è stato fatto tutto il possibile. In ogni caso, la decisione finale spetta ai soccorritori, sulla base della situazione del momento, valutando caso per caso.

Importante è la comunicazione. I soccorritori devono comunicare costantemente con i familiari, in modo da ridurre l’ansia e lo stress, utilizzando un linguaggio semplice, diretto e adeguato alle possibilità di comprensione degli interlocutori. La rianimazione può essere uno spettacolo spiacevole per chi assiste, per cui è necessario informare i familiari su ciò che si sta facendo man mano che l’invasività della rianimazione aumenta: dalle manovre BLS alla defibrillazione, dall’accesso venoso all’intubazione, ecc.[8]

Se non c’è risposta nonostante gli sforzi rianimatori è opportuno valutare l’ipotesi di interrompere le manovre; questo significherà comunicare alla famiglia che il tentativo di rianimazione non ha avuto successo e che il loro congiunto si è spento. Una maggiore competenza comunicativa e relazionale in questo senso da parte dei soccorritori potrebbe rappresentare un cambio di prospettiva alla luce del fatto che spesso la scelta di continuare gli sforzi rianimatori, in assenza di motivi validi per farlo, e il conseguente trasporto del paziente in ospedale costituiscono più un modo per evitare il contatto con i familiari e comunicare loro il decesso, piuttosto che vera necessità.[9] In questo modo si ridurrebbe anche il numero di pazienti trasportati impropriamente in ospedale, alleviando la pressione sui Pronto Soccorso.

La comunicazione di un decesso ai familiari in situazioni di emergenza rappresenta un’esperienza indicibilmente intensa. Anche gli operatori che si trovano ad affrontare questo compito sono esposti a forte stress, soprattutto qualora ricorrano circostanze particolari, come nel caso dei bambini. La comunicazione di un decesso è dunque un compito complesso e delicato che richiederebbe una maggiore preparazione e formazione del personale d’emergenza. [10, 11, 12] 

 

Conclusioni

Spesso i membri dell’equipe sanitaria non consentono ai familiari di assistere alla rianimazione per il timore che questi possano interferire con le manovre rianimatorie, che abbiano traumi psicologici o che aumenti il rischio di eventuali azioni legali. Ciò non è supportato dalla letteratura, al contrario, molti studi dimostrano che la presenza della famiglia durante la rianimazione ha potenziali benefici psicologici sull’osservatore, non ha conseguenze negative sulla rianimazione né  sulla frequenza delle azioni legali, non incide negativamente sulla comunicazione tra i membri dello staff e non interferisce con le decisioni cliniche. Pertanto i soccorritori dovrebbero offrire alle famiglie la possibilità di assistere alla rianimazione, se questi lo desiderano, sempre dopo averne valutato la fattibilità, spiegando quello che si sta facendo man mano che la rianimazione avanza.

Dagli studi è emersa una scarsa preparazione del personale di emergenza preospedaliera nel gestire questo tipo di eventi, in particolare l’aspetto relazionale con le famiglie, soprattutto in caso di decesso del paziente, motivo per il quale sarebbe necessaria una maggiore formazione e addestramento in questo campo. Anche l’adozione di linee guida potrebbe essere utile a supportare i soccorritori in queste delicate fasi della loro attività, supportandoli nel prendere decisioni che spesso impattano in maniera significativa nella vita degli assistiti e dei loro cari.

 

 

In un altro articolo abbiamo parlato della trombolisi preospedaliera per contrastare gli effetti dell’ictus ischemico (link).

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BIBLIGRAFIA

[1] De Stefano C, Normand D, Jabre P, et al. “Family Presence during Resuscitation: A Qualitative Analysis from a National Multicenter Randomized Clinical Trial”. PLoS One. 2016;11(6):e0156100. Published 2016 Jun 2

[2] Morrison LJ, Kierzek G, Diekema DS, et al. “Part 3: ethics: 2010 American Heart Association Guidelines for Cardiopulmonary Resuscitation and Emergency Cardiovascular Care”. Circulation. 2010;122(18 Suppl 3):S665-S675

[3] Morshedi B. “Good Grief!  Should Family Members Be Present During Prehospital Resuscitations?”. EMS Med, 2021

[4] Monti M, Prati G, Caligari S. “I familiari durante l’emergenza: intralcio o risorsa? Cosa ne pensano gli operatori sanitari? Ricerca sul campo“. Ital J Emerg Med 2014; 10 (1): 11-22

[5] American Association of Critical-Care Nurses. “Family presence during resuscitation and invasive procedures”. Crit Care Nurse 1 February 2016; 36 (1): e11–e14

[6] Robinson SM, Mackenzie-Ross S, Campbell Hewson GL et al. “Psychological effect of witnessed resuscitation on bereaved relatives”. Lancet. 1998;352(9128):614-617

[7] ’Linee Guida IRC, Italian Resuscitation Council. Capitolo 12, “Etica della rianimazione e scelte di fine vita”. 2021

[8] Italian resuscitation council, European resuscitation council. “ALS-Advanced life support. Manuale di rianimazione cardiopolmonare avanzata”. Masson. Milano, 2001. Pag. 177

[9] Naess AC, Steen E, Steen PA. “Ethics in treatment decisions during out-of-hospital resuscitation”. Resuscitation. 1997;33(3):245–256

[10] Alex Ponce, Robert Swor, Tammie E. Quest, et al. “Death Notification Training for Prehospital Providers: A Pilot Study”. Prehospital Emergency Care, Volume 14, 2010

[11] VandeKieft GK. “Breaking bad news”. Am Fam Physician. 2001;64(12):1975-8

[12]  Natalie Anderson,Julia Slark, Merryn Gott. “How are ambulance personnel prepared and supported to withhold or terminate resuscitation and manage patient death in the field? A scoping review“. The Australasian Journal of Paramedicine, vol. 16, 2019 (link)

 

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