Il professionista sanitario è obbligato al rispetto delle linee guida nell’ambito della sua attività? Cosa prevede in proposito la normativa?
Come sappiamo le linee guida consistono in raccomandazioni di comportamento clinico, redatte sulla base delle migliori evidenze scientifiche, rivolte ai sanitari, allo scopo di suggerire loro le modalità di intervento più appropriate in specifiche circostanze cliniche.[1]
Ma a cosa servono?
In primo luogo, possono aiutare a stabilire standard di cura e a fornire indicazioni su come gestire casi clinici specifici. Ciò può aiutare i professionisti sanitari a prendere decisioni e a fornire un’assistenza di alta qualità ai pazienti.
Poi, le linee guida possono fornire una base per valutare la responsabilità dei professionisti sanitari in caso di eventuali reclami per negligenza medica o errore professionale. Quando si valuta se un professionista sanitario abbia agito in modo adeguato o no, si fa riferimento alle linee guida esistenti per stabilire se il comportamento del professionista è stato in linea con gli standard di cura appropriati. In tal senso, le linee guida possono essere usate sia dai professionisti sanitari che difendono le loro azioni, sia dal paziente che si ritiene danneggiato per cercare di dimostrare in giudizio l’errore del professionista.
Gli operatori sanitari sono obbligati all’osservanza delle linee guida?
La violazione delle linee guida può essere considerata una forma di negligenza medica e può costituire una causa di responsabilità sanitaria.[2]
La Legge n. 24/2017 (c.d. “legge Gelli”) sulla responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie e la sicurezza delle cure[3] ha previsto l’introduzione di linee guida e pratiche sicure riconosciute dall’Istituto Superiore di Sanità come strumento per la tutela degli operatori sanitari in caso di esito avverso. Pertanto la suddetta legge conferisce alle linee guida un ruolo di particolare rilevanza nell’ambito della responsabilità professionale, connettendo il tema della sicurezza e della qualità delle cure all’aderenza a linee guida validate.
La legge ha introdotto nel codice penale l’art. 590-sexies che esclude la responsabilità penale per il professionista in caso di imperizia qualora abbia agito nel rispetto delle linee guida o, in assenza di esse, delle buone pratiche, salvo le specificità del caso concreto (si intende per imperizia la condotta dovuta a mancanza di adeguata preparazione).[4] Si ricorda che l’esimente di colpa previsto dalla legge Gelli, come chiarito dalla Cassazione, si applica nei soli casi di imperizia derivante da un lieve errore esecutivo di linee guida adeguate alle specificità del caso concreto.[5] In altre parole se il sanitario ha ben scelto la linea guida (che quindi è appropriata al caso concreto), non risponderà penalmente in ipotesi di imperizia, qualora la sua colpa sia stata lieve.
Ne deriva quindi che la prima domanda che il giudice si pone in un ipotetico giudizio per responsabilità sanitaria è se esistano o meno linee guida per la patologia in esame e se vi è stata osservanza di tali linee guida.[6] La mancata osservanza delle linee guida (in assenza di un valido motivo per non applicarle), è sufficiente per determinare la punibilità del professionista sanitario. Infatti appurare se, ed in quale misura, la condotta del sanitario si sia discostata da linee guida o buone pratiche clinico-assistenziali costituirebbe la prova che esiste un legame tra l’errore commesso e il danno subito (il cosiddetto “nesso causale” cioè, in altri termini, il rapporto di causa-effetto tra il comportamento dell’operatore e il danno subito dal paziente).
I guai per i responsabili in questi casi non sono solo di natura penale; il nostro ordinamento consente infatti al paziente, o in caso di decesso dello stesso ai suoi familiari, di avanzare una richiesta di risarcimento per i danni subiti, già durante il processo penale.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte le direzioni sanitarie delle aziende sanitarie e i professionisti sanitari che in esse operano dovrebbero porsi con urgenza il problema dell’adesione alle linee guida o, in mancanza di queste, alle buone pratiche clinico-assistenziali,[7, 8] considerando le conseguenze civili e penali alle quali possono andare incontro in caso di inadempienza.
In un altro articolo abbiamo parlato della legge Gelli sulla responsabilità professionale sanitaria e la sicurezza delle cure (link).
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BIBLIOGRAFIA
[1] Field MJ, Lohr KN (Editors). Guidelines for Clinical Practice. From Development to Use. Washington, D.C: Institute of Medicine. National Academy Press; 1992
[2] Corte di Cassazione, sez. III civile, sentenza n. 13510 del 29/04/2022 (“In tema di responsabilità sanitaria per attività medico-chirurgica, il cosiddetto “soft law” delle linee guida, pur non avendo la valenza di norma dell’ordinamento, costituisce comunque espressione di parametri per l’accertamento della colpa medica, che contribuiscono alla corretta sussunzione della fattispecie concreta in quella legale disciplinata da clausole generali, quali quelle contenute negli artt. 1218 e 2043 c.c.”).
[3] Legge n. 24/2017. “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”
[4] Ibidem. Art. 6
[5] Cass. Sez. Unite, 22/02/2018, n. 8770/2018
[6] Forestieri A. “La responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria“. Articolo pubblicato sul sito di informazione giuridica “Altalex” in data 09-07-2021 link
[7] Ruggieri R. “Art. 590 sexies c.p., SC: “Opera solo per le buone pratiche, non anche per le linee guida”. Articolo pubblicato sul portale giuridico “Avvocatirandogurrieri” il 24-10-2018 e disponibile al seguente link
[8] Zeppilli V. “Responsabilità medica: best practices e linee guida sono equiparabili?“. Articolo pubblicato sul portale giuridico “Studiocataldi” e disponibile al seguente link