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L’Ospedale di comunità: cos’è e come funziona

L’emergenza da Covid-19 ha evidenziato con chiarezza la necessità di rafforzare i servizi sanitari sul territorio, per rispondere con più efficacia ai bisogni di salute dei cittadini. In quest’ottica si inserisce la nascita di nuove strutture come l’Ospedale di Comunità. Ma cos’è esattamente, e come funziona?

 

Il Servizio Sanitario Nazionale mira al potenziamento dell’offerta dell’assistenza a livello territoriale attraverso la creazione di nuove strutture e presidi territoriali come l’Ospedale di Comunità[1] Ma cos’è e come funziona?

Gli Ospedali di Comunità sono strutture intermedie tra l’assistenza domiciliare e l’ospedale e hanno l’obiettivo di evitare ricoveri inappropriati supportando al meglio il processo di dimissione dalle strutture di ricovero, garantendo assistenza a pazienti con condizioni complesse, superando la specificità per singola patologia/condizione. Si tratta di strutture sanitarie a tutti gli effetti destinate a pazienti che, a seguito di un episodio di acuzie minori o alla riacutizzazione di condizioni croniche, necessitano di interventi sanitari clinici a bassa intensità che, per diversi motivi, non possono essere erogati a domicilio. L’Ospedale di Comunità contribuisce ad una maggiore appropriatezza delle cure determinando una riduzione di accessi impropri ai servizi sanitari come ad esempio quelli al Pronto Soccorso o ad altre strutture di ricovero ospedaliero.

L’Ospedale di Comunità non è una duplicazione o una alternativa a forme di residenzialità socio-sanitarie già esistenti, nè un parcheggio temporaneo per anziani in attesa di entrare nelle RSA. Ma a quale tipi di pazienti si rivolge, allora, l’Ospedale di Comunità? Il nostro SSN prevede:

  • per le condizioni acute vi è l’ospedale (per patologie quali ad esempio infarto del miocardio, traumi, ecc.);
  • per le condizioni non acute ma con richieste assistenziali importanti il ricovero in strutture sanitarie non ospedaliere (per es. clinica riabilitativa dopo ictus o frattura di femore):
  • per le condizioni non acute e con richieste assistenziali non importanti c’è l’assistenza domiciliare.

L’Ospedale di Comunità va a colmare un buco tra queste ultime due condizioni, perché si parla di condizioni non acute e con richieste assistenziali non importanti ma che non possono essere gestite al domicilio, stante la necessità di assistenza/sorveglianza sanitaria continuativa nelle 24 ore.

Possono accedere all’Ospedale di Comunità pazienti con patologia acuta minore che non necessitano di ricovero in ospedale o con patologie croniche riacutizzate che devono completare il processo di stabilizzazione clinica, con una valutazione prognostica di risoluzione a breve termine (durata del ricovero non superiore a 30 giorni), oppure pazienti provenienti dal domicilio o da altre strutture residenziali, dal Pronto soccorso o dimessi da presidi ospedalieri per acuti.[2] Si parla quindi di soggetti con un’elevata complessità assistenziale a fronte di una bassa intensità di cure. Nel riquadro sottostante sono riportati alcuni esempi:[3] 

 

 

Non costituiscono invece criterio di accoglienza la presenza di problematiche acute in atto, la presenza di problematiche sociali come unica motivazione al ricovero, la presenza di demenza e altri disturbi del comportamento non controllati farmacologicamente, essere affetti da patologie infettive che necessitano di isolamento.[4]

L’Ospedale di Comunità può avere una sede propria oppure essere collocato in una Casa della Comunità, in strutture sanitarie polifunzionali, o presso strutture residenziali sociosanitarie, RSA, ecc. oppure essere situato in una struttura ospedaliera, pur in quest’ultimo caso, rimanendo riconducibile all’assistenza territoriale del distretto cui afferisce.

L’Ospedale di Comunità è di norma dotato di 15-20 posti letto, ma può giungere anche ad un massimo di 40. La responsabilità organizzativa è affidata ad un responsabile infermieristico (DM n. 70/2015) mentre la responsabilità igienico sanitaria e clinica è in capo ad un medico che può essere un dirigente medico dipendente dell’azienda sanitaria o un Medico di Medicina Generale dedicato. L’assistenza medica, facendo l’esempio dell’ospedale di Comunità di Tregnago (VR), è prestata ai pazienti ricoverati da medici specialisti di area geriatrica-internistica per un totale di 40 ore settimanali, dal lunedì al sabato, garantendo ammissioni e dimissioni nei 6 giorni della settimana ed una reperibilità diretta telefonica h12. Dalle ore 20 alle ore 8 e nei giorni festivi l’assistenza medica per urgenze o necessità di monitoraggio viene garantita dalla Continuità Assistenziale (ex Guardia Medica).[5]

L’assistenza infermieristica è garantita da infermieri presenti continuativamente nelle 24 ore, coadiuvati da operatori socio-sanitari. In questo contesto si inserisce la nuova figura dell’Infermiere di Famiglia o di Comunità, con funzione di “care manager”, che si occupa, in particolare, delle transizioni di cura dei pazienti assicurandone la presa in carico e la continuità assistenziale: tale infermiere si interfaccia con le “Centrali Operative Territoriali”, in modo da facilitare l’organizzazione dell’assistenza, per esempio gli ausili eventualmente necessari, una volta che il paziente tornerà al domicilio.[6] 

L’Ospedale di Comunità potrà anche operare da “ponte” per la transizione dei pazienti dalle strutture ospedaliere per acuti al proprio domicilio, consentendo alle famiglie di avere il tempo necessario per adeguare l’ambiente domestico e renderlo più adatto alle esigenze di cura dei pazienti. Non si tratta quindi solo di curare la persona ma anche di prepararla per il ritorno a casa. 

I processi assistenziali garantiti dall’Ospedale di Continuità devono essere coerenti con i criteri di gestione  del  rischio clinico del Distretto/ASL di afferenza, in un’ottica di prevenzione dei rischi e sicurezza delle cure. Il personale dovrebbe essere motivato, sensibilizzato e formato alla cultura dell’Incident Reporting (la segnalazione degli eventi avversi) e alla “cultura della sicurezza”. A tal fine dovranno essere predisposti adeguati corsi di formazione, questo anche per colmare il gap culturale con il personale operante nelle strutture ospedaliere: come emerge dalla letteratura, infatti, i tassi di segnalazione degli eventi avversi da parte degli operatori sono generalmente molto più bassi nei servizi di assistenza primaria che negli ospedali a fronte di un alto numero di eventi avversi nelle cure primarie e ambulatoriali. Si stima infatti che 4 pazienti su 10 subiscano danni in questi ambiti.[7] Sempre in quest’ottica il sistema di Educazione Continua in Medicina (ECM) dovrebbe prevedere costanti aggiornamenti per il personale destinati alla gestione della persona con cronicità, con particolare attenzione alle condizioni di fragilità sociale, all’assistenza domiciliare, all’impiego della telemedicina.

Purtroppo gli Ospedali di Comunità sono in numero ancora insufficiente rispetto al fabbisogno, con molte Regioni addirittura sprovviste, come ha dimostrato una recente ricerca della Camera dei Deputati. In Italia nel 2020 si contano 163 ospedali di comunità, la Regione che ne ha di più è il Veneto (69 presidi), a seguire c’è l’Emilia Romagna (26), la Lombardia (20) e la Toscana (20) mentre sono completamente assenti in Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Umbria, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna.[8]

Per colmare questo gap è in programma, per i prossimi anni, la realizzazione di 381 Ospedali di Comunità.[9]

 

 

In un altro articolo abbiamo visto l’importanza dell’assistenza territoriale (qui).

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BIBLIOGRAFIA

[1] Ministero della Salute, Decreto Ministeriale n.  70/2015 “Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera

[2] Decreto 23 maggio 2022, n. 77. “Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale” (link)

[3] Donetti D, Proietti A., Giacomini S. “Ospedale di comunità, rafforzare l’assistenza intermedia e le sue strutture“. Rivista semestrale “Monitor”, Anno II numero 45, 2021

[4]Joumana Bakri, Beatrice Gazzola, Roberto Borin, Marco Trabucchi. “Gli Ospedali di Continuità. Proposta di modello organizzativo“. Psicogeriatria, anno XVII, n. 1, supplemento 1, 2022. Pag. 12 (link)

[5] Ibidem. Pagg. 7-8 

[6] Decreto 23 maggio 2022, n. 77. “Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale

[7] Donaldson L., Ricciardi W., Sheridan S., Tartaglia R. “Manuale di sicurezza del paziente e gestione del rischio clinico”. Cultura e Salute Editore, Perugia, 2022. Pag. 133

[8] Fassari L. “Assistenza territoriale al palo. La storia incompiuta delle Case della Salute: a 14 anni dalla legge in oltre il 30% delle Regioni non ci sono. Pochi anche gli ospedali di Comunità“. Articolo pubblicato sul portale di informazione sanitaria QuotidianoSanità il 03 marzo 2021

[9]Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (PNRR)”. 2021

 

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