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La Casa della comunità, fulcro dell’assistenza sul territorio

Il progressivo invecchiamento della popolazione e il conseguente aumento dei malati cronici impone l’adozione sul territorio di nuovi modelli di assistenza socio-sanitaria come la Casa della comunità. Ma di cosa si tratta, esattamente?

 

Il nostro Paese è uno dei più vecchi d’Europa, con il 23,5% della popolazione con più di 65 anni di età.[1] L’accresciuta domanda di cure derivante dalle tendenze demografiche e sociali in atto impone l’adozione di nuovi modelli socio-sanitari sul territorio per rispondere in modo efficace ai bisogni di salute emergenti dei cittadini. Anche l’emergenza pandemica ha evidenziato con chiarezza la necessità di rafforzare la capacità del SSN di fornire servizi adeguati sul territorio. Le mutazioni sociali impongono di passare da un modello “passivo” dove l’erogazione dell’assistenza avviene solo nel momento in cui il paziente sta male, ad uno “attivo”, capace di intervenire prima dell’evento acuto, dove si cerca di prevenire la malattia o il suo aggravamento, attraverso la presa in carico globale del paziente.

In quest’ottica è necessario realizzare una rete di strutture intermedie tra la casa e l’ospedale, di cui il perno è costituito dalle “Case della comunità”, evoluzione diretta delle Case della salute già presenti in varie regioni italiane, a garanzia di una risposta completa ai bisogni di salute dei cittadini, in particolare delle persone anziane affette da patologie croniche, e più in generale, fragili.

La Casa della comunità è il luogo fisico e di facile individuazione al quale l’assistito può accedere per poter entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria e socio sanitaria. La denominazione “Casa della comunità” (e non più Casa della salute) attesta il passaggio da una semplice offerta di prestazioni sanitarie ad un vero e proprio progetto di salute rivolto alla comunità di riferimento, con al centro la persona, sia sana che malata.

Attualmente la presenza di pluripatologie richiede l’intervento di diverse figure professionali ma c’è il rischio che i singoli professionisti intervengano in modo frammentario, focalizzando l’intervento più sul trattamento della malattia che sulla gestione del malato, generando confusione e dispendio di energie per il paziente, che si trova privo di punti di riferimento. Pensiamo ad un anziano solo (ma anche ad un lavoratore) che deve sottoporsi ad un esame diagnostico. Si reca dal curante per avere l’impegnativa, poi telefona o va in ospedale a prenotare l’esame al Cup, finalmente, arrivato il suo turno, torna in ospedale a eseguire l’esame, poi ci ritorna per ritirare il referto e quindi nuovamente va dal curante per averne tradotto il risultato. Nel nuovo modello invece, alla prescrizione di una visita o di un esame seguirà l’immediata prenotazione da parte del medico al CUP aziendale secondo il principio del «dove si prescrive si prenota». 

Ma cosa trova il paziente in queste strutture? La Casa della Comunità offre un team multidisciplinare e multiprofessionale di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, infermieri di comunità, altri professionisti della salute oltre alla presenza degli assistenti sociali. Nelle Case della comunità sono i medici di famiglia e gli infermieri a chiamare la persona e ad avviare gli interventi più appropriati sui corretti stili di vita, sulla consapevolezza e sulle competenze nell’uso dei farmaci, sull’assistenza domiciliare con la stretta collaborazione dei medici specialisti (ad esempio, diabetologo, psichiatra, cardiologo, pneumologo). Gli “Infermieri di comunità” lavoreranno in stretta collaborazione e in connessione con i Medici di medicina generale, gli Specialisti, gli Assistenti Sociali e altri professionisti a secondo del caso specifico. 

Per rispondere alle differenti esigenze territoriali, garantire equità di accesso, capillarità e prossimità del servizio, la dislocazione sul territorio delle Case di comunità seguirà il modello hub e spoke, dove la struttura “hub” fa da centro di riferimento per le strutture periferiche “spoke” con le quali resta strettamente interconnessa. La struttura hub si caratterizza rispetto agli spoke per una maggiore gamma di servizi offerti come per esempio diagnostica di base, attività specialistiche, Continuità Assistenziale, punto prelievi e presenza del medico h24 per tutti i giorni della settimana, presenza infermieristica h12, 7 giorni su 7.[2, 3] La Casa di comunità Spoke garantisce la presenza di equipe multiprofessionali h12 – 6 giorni su 7 da lunedì a sabato. Dispone di un Punto Unico di Accesso (PUA) sanitario e sociale, di alcuni servizi ambulatoriali per patologie ad elevata prevalenza (cardiologo, pneumologo, diabetologo, ecc.) e servizi infermieristici. Rientrano nei centri “spoke” della Casa di comunità anche gli ambulatori dei Medici di Medicina Generale (MMG) e Pediatri di Libera Scelta (PLS), sia considerati singolarmente che in aggregazione di studi.

Tra Hub e Spoke le differenze non sono soltanto legate alla obbligatorietà o meno della presenza di alcune funzioni o servizi, ma anche, nell’ambito della gestione delle patologie croniche, ad una differenza di livello assistenziale da assicurare: nelle Hub, a favore dei pazienti più complessi, e nelle case di comunità Spoke a quelli meno complessi, sulla base di piani di cura concordati tra MMG e specialisti e coordinati dall’infermiere di famiglia e di comunità.[4] 

 Anche a pandemia finita non è escluso che altre emergenze analoghe non possano ripresentarsi in futuro pertanto il potenziamento delle strutture territoriali appare inderogabile e indispensabile anche in un’ottica preventiva. Aver sottostimato la prevenzione e la medicina territoriale ha portato nella recente pandemia alla saturazione degli ospedali e ad un aumento dei contagi. Da questo punto di vista la pandemia ha reso evidenti alcuni aspetti critici di natura strutturale, come per esempio la collocazione degli studi dei medici di famiglia all’interno di civili abitazioni, che possono rappresentare un pericolo stante l’impossibilità di garantire le condizioni minime di sicurezza, per i pazienti e per gli stessi sanitari. Al contrario le Case della comunità saranno dotate di ampi spazi per garantire, in caso di nuove infezioni, il rispetto del distanziamento interpersonale e la possibilità di effettuare con tempestività ed efficienza operazioni complesse come la vaccinazione ad un grande numero di pazienti. Negli edifici di nuova costruzione e, quando possibile, anche in quelli già esistenti, lo stesso tipo di cautela riguarderà le aree di transito attraverso la predisposizione di ascensori dedicati, percorsi di entrata e di uscita separati, ecc. in modo da evitare le occasioni di contagio.[5]  

Un altro degli importanti obiettivi che si raggiungerebbe con le Case della comunità è la riduzione degli accessi impropri in Pronto Soccorso (PS). Come noto molti cittadini accedono impropriamente ai servizi d’emergenza anche per la carenza di alternative di assistenza sul territorio. E’ ormai accertato che almeno il 70% delle persone che si rivolgono ai PS sono codici bianchi e verdi, cioè non urgenti. E’ necessario che vi sia un filtro a monte, rappresentato proprio dalle Case di comunità. Uno studio recente ha dimostrato che con la realizzazione di queste strutture si avrebbe una riduzione degli accessi al PS del 16,1%.[6]  

Non minori sono i vantaggi per il sistema economico: come dimostrato in letteratura sistemi sanitari con all’interno “forti” sistemi di cure primarie sono associati, oltre a migliori esiti di salute per la popolazione, anche ad un contestuale contenimento dei costi sanitari.[7]

Le istituzioni sanitarie puntano molto su questo nuovo modello: è in programma, per i prossimi anni, la realizzazione di 1.288 Case della Comunità.[8]

La casa della comunità sarà collegata con la rete ospedaliera e gli altri setting assistenziali territoriali quali assistenza domiciliare, ospedali di comunità, hospice e rete delle cure palliative, RSA e altre forme di strutture intermedie e servizi. Ne abbiamo parlato in questo articolo.

 

 

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BIBLIOGRAFIA

[1] Centro Studi Assosalute. “Numeri e indici dell’automedicazione“. Edizione 2022. Pag. 13 (link)

[2] Ministro della salute. “Linee di indirizzo per la realizzazione dei progetti regionali sulla sperimentazione di strutture di prossimità“. Pag. 4 (link)

[3] AGENAS. “Piano nazionale di ripresa e resilienza, missione salute”. Rivista semestrale “Monitor”, Anno II numero 45, 2021. Pag. 23

[4] AGENAS. “Corso di formazione manageriale Agenas: i project work dei discenti sullo sviluppo dell’assistenza territoriale”. I Quaderni, Supplemento alla rivista semestrale Monitor, marzo 2024. Pagg. 14-15

[5] AGENAS. “Documento di indirizzo per il Metaprogetto della Casa di Comunità”. I “quaderni”, supplemento alla rivista semestrale Monitor, 2022. Pag. 53

[6] AGENAS. “Piano nazionale di ripresa e resilienza, missione salute”. Rivista semestrale “Monitor”, Anno II numero 45, 2021. Pag. 24

[7] Ibidem. Pag. 10

[8]Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (PNRR)”, 2021. Pag. 292

 

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