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Responsabilità della struttura sanitaria per insorgenza e omessa cura lesioni da pressione

La lesioni da pressione nei pazienti allettati sono uno degli eventi avversi maggiormente ricorrenti in ambito sanitario. A quali conseguenze va incontro la struttura sanitaria in caso di inadempienza?

 

Si intende per lesione da pressione (non è più in uso la vecchia denominazione di “piaghe da decubito”) un’area localizzata di danno della cute e dei tessuti sottocutanei causata da forze di pressione, trazione, frizione, o da una combinazione di questi fattori, che si forma normalmente in corrispondenza di prominenze ossee e la cui gravità è classificata in stadi. Le lesioni da pressione non sono da sottovalutare considerando che possono evolvere in uno stato di sepsi generalizzata, che può portare il paziente anche al decesso .

In questo articolo non tratteremo l’argomento dal punto di vista sanitario ma ci soffermeremo sugli aspetti inerenti le responsabilità civili e penali della struttura sanitaria per insorgenza e mancata cura delle lesioni da pressione. Essendo un evento prevenibile nella maggior parte dei casi, molte sono le denunce, civili e penali, che vengono presentate alle strutture sanitarie da parte dei familiari dei pazienti.

 

L’importanza della prevenzione

Fattore di fondamentale importanza per evitare il formarsi delle lesioni da pressione è la prevenzione, che mira a modificare i fattori che concorrono all’insorgenza e allo sviluppo delle lesioni. Come dimostra la letteratura scientifica ben il 95% delle lesioni da pressione sarebbero prevenibili se fosse eseguita una corretta valutazione e se fosse attivato un programma di prevenzione.[1] [2] [3] È esemplare il caso di Eluana Englaro, per 17 anni immobilizzata in un letto di ospedale, ma senza alcun problema di sindrome da allettamento perché costantemente mobilizzata dal personale di assistenza.

La legge 24/2017 (più conosciuta come “legge Gelli”) sulla responsabilità professionale promuovendo “l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative”,[4] introduce per la prima volta la prevenzione nell’ambito delle attività finalizzate alla gestione del rischio clinico (questo è la possibilità che un paziente subisca un danno involontario imputabile alle cure sanitarie). Recita infatti l’art. 1: “Alle attività di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, è tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti che vi operano in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale”. La sicurezza delle cure diventa cosi parte costitutiva del diritto alla salute e ogni struttura sanitaria è tenuta a concorrere alla prevenzione del rischio connesso all’erogazione delle prestazioni sanitarie.

 

Responsabilità civile della struttura sanitaria (risarcimento danni al paziente)

Dal punto di vista della responsabilità civile, nell’eventualità di un danno al paziente, tutte le strutture sanitarie o socio-sanitarie, siano esse pubbliche o private, sono tenute a garantire il diritto dei pazienti danneggiati e dei loro familiari ad un equo risarcimento del danno.[5] In tali casi l’ospedale risponde non solo dell’operato dei propri dipendenti, ma anche del proprio operato qualora i danni al paziente siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura.[6]

Sussiste un nesso causale quando tra il comportamento della struttura sanitaria e il danno subito dal paziente si possa ritenere che l’attività della struttura sanitaria abbia causato, o concorso a causare, il danno verificatosi.[7]

Per non incorrere in responsabilità l’operatore sanitario (medico, infermiere, ecc.) ha l’onere di provare che non è riuscito a curare il paziente come si aspettava per una impossibilità non imputabile a lui e che l’inadempimento è stato causato da una evenienza imprevedibile, oltre che inevitabile, con la comune diligenza.[8]

Il paziente che ha subito il danno deve provare la sussistenza del nesso causale (cioè il rapporto di causa-effetto) tra la condotta del professionista sanitario (o carenza della struttura sanitaria) e la lesione subita. La mancanza del nesso di causalità, o la mancata prova dello stesso, ha l’immediata conseguenza di liberare i sanitari da qualsiasi tipo di responsabilità ascrittagli.[9]

In sede processuale il Giudice avrà il compito di valutare se vi siano state inadempienze od omissioni capaci di determinare il danno, quindi situazioni censurabili, per esempio, come riporta una sentenza, in caso di “comportamento dei sanitari non conforme alle linee guida, omissioni nella tenuta del diario clinico ed infermieristico, incongruità tecnico-assistenziali”.[10] Se l’accertamento è positivo, allora sarà comminata la condanna, secondo quanto previsto dal Codice civile per quel determinato reato.

In conclusione, alla luce delle considerazioni sopraddette, il personale medico e/o sanitario e la struttura sanitaria risponderanno per responsabilità civile per i danni arrecati al paziente quando si dimostri che non abbiano fatto tutto ciò che era possibile per la prevenzione dell’evento verificatosi.

Numerose sono le sentenze per responsabilità civile degli operatori e delle strutture sanitarie in ordine alla comparsa di lesioni da pressione nei pazienti. Riportiamo di seguito le sentenze più significative.

Nel 2009 il Tribunale di Roma ha stabilito che è ravvisabile il comportamento negligente del personale della struttura sanitaria ove gli operatori abbiano omesso le misure preventive dirette ad evitare l’insorgenza delle lesioni da pressione.[11] A seguito della sentenza veniva stabilito un congruo risarcimento danni in favore dei familiari del paziente deceduto.

Nel 2013 il Tribunale ha condannato un ospedale di Mestre a pagare 680 mila euro ai familiari di un paziente deceduto per una setticemia causata dalle lesioni da pressione formatesi dopo un intervento di ernia inguinale.[12]

Nel 2016 una ASL della toscana è stata condannata a pagare 503 mila euro a titolo di risarcimento per la morte di una anziana paziente causata da sepsi generalizzata originata da lesione da pressione in sede sacrale.[13]

Nel 2017 il personale sanitario di un istituto ortopedico è stato ritenuto colpevole di negligenza, imperizia e omissioni per la comparsa di estese e profonde ulcere da pressione in una paziente poi deceduta per setticemia. La struttura è stata condannata a pagare, a titolo di risarcimento danni, la somma di 890 mila euro ai suoi familiari.

 

Responsabilità penale della struttura sanitaria

Tra i principali fattori predisponenti per l’accadimento degli eventi avversi troviamo la mancata applicazione di linee guida/procedure/protocolli aziendali.[14]

È dimostrato che l’utilizzo e la condivisione di linee guida per la prevenzione ed il trattamento delle lesioni da pressione conduce ad una riduzione dell’insorgenza di tale fenomeno, nonché ad un miglioramento delle prestazioni assistenziali. Si ricorda che l’adozione di procedure, protocolli, linee guida per lo svolgimento delle attività assistenziali sono un obbligo per tutte le strutture sanitarie, sancito dalla normativa.[15] [16]

In caso di inadempienza può essere imputato alla struttura sanitaria l’accadimento di eventi avversi prevenibili dovuti alla mancata adozione delle linee guida. I responsabili della struttura sanitaria assumono la responsabilità della scelta (culpa in eligendo) delle migliori conoscenza tecniche disponibili, di mantenere aggiornate (culpa in custodendo) tali indicazioni e di verificare che il personale dipendente le rispetti (culpa in vigilando).[17] Il Direttore Sanitario di una casa di cura privata è stato recentemente condannato per omicidio colposo per responsabilità conseguente alla violazione dei doveri di prudenza, diligenza, perizia e osservanza dei protocolli sanitari.[18]

Molte strutture sanitarie, soprattutto private, tendono a ridurre i costi per massimizzare i profitti. Secondo la giurisprudenza il medico che agisca in ossequio a criteri di economicità nella cura delle lesioni da pressione, anche se imposti dalla struttura sanitaria, non è esente da responsabilità qualora da detto comportamento derivino danni al paziente.[19]

Anche affidare i ricoverati a personale non specializzato,[20] per esempio ausiliari al posto di infermieri, può comportare una responsabilità penale per i vertici della struttura sanitaria.[21]

Secondo la Cassazione la struttura sanitaria è tenuta a fornire al paziente tutto quanto necessario ad una corretta assistenza, compresa la messa a disposizione di personale medico, infermieristico e ausiliario.[22] E’ perciò configurabile una responsabilità autonoma e diretta della casa di cura ove il danno subìto dal paziente risulti causalmente riconducibile ad una inadempienza alle obbligazioni ad essa facenti carico.[23]

Anche la carenza di personale può causare un’insufficiente assistenza nei confronti dei pazienti e, di conseguenza, facilitare l’insorgenza di patologie che proprio della prevenzione si giovano, come le lesioni della cute.[24]

 

In un altro articolo abbiamo visto a quali conseguenze penali vanno incontro gli operatori sanitari qualora si evidenzino responsabilità a proprio carico per insorgenza e omessa cura delle lesioni da pressione (qui).

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BIBLIOGRAFIA

[1] Clay M. ”Neglected areas: dental health, foot care and skin care” (in) Healthy Ageing: Nursing Older People”. London, Harcourt Publisher 1999

[2] Waterlow J. “Prevention is cheaper than cure”. Nursing Time 84, 25

[3] Hibbs P. ”Pressure area care for the city of Hackney Health Autority” 1988 City of Hackney Health Authority, London

[4] Legge 24/2017. “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”. Art. 1

[5] Ex art. 1218 c.c. (Responsabilità Contrattuale)

[6] Legge 24/2017. Art. 7, comma 1

[7] Corte Appello di Roma, sentenza n. 280 del 16 gennaio 2018

[8] Cassazione civile, ordinanza n. 7044, depositata in data 21 marzo 2018

[9]Il nesso di causalità nella responsabilità medica”. Articolo pubblicato il 13-04-2019 sul portale giuridico “Studio Cataldi”

[10]Storica sentenza del Tribunale di Milano, per la prima volta condannato un ospedale per scarsa assistenza e piaghe da decubito in un ospedale“. Articolo pubblicato sul sito web Agi il 20 gennaio 2015 (link)

[11] Tribunale di Roma Sezione II civile, sentenza del 09-06-2009

[12] link articolo 

[13] link articolo 

[14] Ministero della Salute. Monitoraggio degli eventi sentinella. 5° Rapporto (settembre 2005-dicembre 2012), 2015. Pag. 14

[15] Piano sanitario nazionale 1998-2000. Parte II. Garanzie del SSN

[16] Ministero della Salute. Decreto Ministeriale n. 70 del 2 aprile 2015 “Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera”. Punto 5.3

[17] Scorretti C. Atti del seminario “Linee guida e buone pratiche. Implicazioni giuridiche e medico-legali. Cosa cambia nella sanità”. Trieste, 25 novembre 2016

[18] Corte di Cassazione, quarta sezione penale, sentenza n. 32477/2019 

[19] Benci L. “La qualità del trattamento e la responsabilità dei professionisti nella scelta dei presidi per medicazioni delle ulcere cutanee”. Acta Vulnol. 2015;13

[20] Cassazione penale, V sez., sentenza del 9 maggio 1986, Cassazione penale, 1094, 1987

[21] Art. 591 c.p. “Abbandono di persone incapaci

[22] Sentenza n. 6689/2018, terza Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione

[23] Cass., sez. un., 1 luglio 2002, n. 9556, in Foro it., 2002, I, 3060, con nota di A. Palmieri, Risarcimento del danno morale per la compromissione di un intenso legame affettivo con la vittima di lesioni personali, e in Nuova giur. civ. comm., 2003, 689 ss., con nota di L. Favilli, La risarcibilità del danno morale da lesioni del congiunto: l’intervento dirimente delle Sezioni Unite

[24] Sasso L., Bagnasco A., Catania G. et al. “Il numero di pazienti assistiti da ogni infermiere, le cure mancate, la qualità dell’assistenza e la sicurezza dei pazienti. Alcuni dati italiani dello studio RN4CAST per una riflessione condivisa”. Rivista L’Infermiere n°3 / 2019

 

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