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Due miti da sfatare sulla legge “Gelli” (responsabilità professionale sanitaria)

 

In questo articolo smentiamo alcune false credenze sulla legge “Gelli”, la legge sulla responsabilità professionale sanitaria

 

Primo mito da sfatare: “Non c’è obbligo di assicurazione per gli operatori sanitari”

Assicurarsi per colpa grave sanitaria è obbligatorio non solo ora,  a seguito di una specifica disposizione di legge ma anche, si può dire, nel passato, in quanto come recita l’art. 2043 del codice civile “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altrui un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

L’operatore che sia sprovvisto di assicurazione, in caso di condanna per colpa grave, dovrà rifondere all’azienda, a titolo di rivalsa, una somma corrispondente alla retribuzione annua lorda moltiplicata per tre il che significa, facendo l’esempio di un infermiere, sborsare una cifra che si aggira intorno ai 90.000 euro (la “rivalsa” è un istituto che prevede che l’azienda, in caso di condanna del sanitario per colpa grave, risarcisca il paziente ma con l’obbligo di rivalersi sul professionista per il recupero delle somme versate). Addirittura, prima della legge Gelli, non esisteva nessun limite alla rivalsa per cui si poteva essere costretti a rimborsare cifre anche di centinaia di migliaia di euro! E’ proprio per salvaguardare gli operatori da tali rischi che la legge Gelli ha previsto l’obbligo di assicurazione. Pertanto chi non è assicurato per responsabilità civile per colpa grave dovrebbe attivarsi immediatamente per non essere esposto a rischi.

 

Secondo mito da sfatare: “La legge Gelli esime da ogni responsabilità il sanitario”

La legge Gelli ha introdotto nel codice penale l’art. 590 sexies[1] che esime da responsabilità penale gli operatori sanitari qualora siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida. Il concetto però vale solo per l’imperizia e non per l’imprudenza e la negligenza, in quanto condotte non scusabili (la negligenza è la scarsa attenzione, lo scarso impegno nel proprio operato, l’imprudenza consiste nel non adottare le necessarie cautele laddove l’esperienza ne consiglia l’uso, l’imperizia è la mancata conoscenza delle tecniche da esercitare). In realtà anche nei casi di imperizia la punibilità non è sempre esclusa. La Corte di Cassazione ha infatti recentemente stabilito[2,3] che il sanitario è punibile anche quando la scelta delle linee guida o delle buone pratiche clinico-assistenziali è stata corretta, ma la loro esecuzione, cioè l’applicazione alla fattispecie concreta, è stata sbagliata; in questo caso il sanitario risponde solo per colpa grave, cioè per errore grossolano o macroscopico (è esclusa la colpa lieve). Ciò si è reso necessario in quanto un’applicazione “alla lettera” della legge Gelli avrebbe di fatto condotto all’esclusione della punibilità per ogni ipotesi di errore esecutivo per imperizia nel rispetto di linee guida o buone pratiche adeguate e pertinenti al caso.

Dal punto di vista della responsabilità civile resta fermo il dovere di risarcire il danno in quanto la norma riguarda unicamente l’ambito penale e non quello civile. Infatti in sede civile, il giudice potrà condannare il responsabile al risarcimento danni nei confronti del paziente (o dei familiari della vittima, in caso di decesso).

 

In un altro articolo abbiamo visto le principali modifiche apportate dalla legge “Gelli” in materia di Responsabilità professionale sanitaria (qui).

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BIBLIOGRAFIA

[1] Legge n. 24/2017. “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”. Art. 5

[2] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 21 dicembre 2017, Pres. Canzio, Rel. Vessichelli, Ric. Mariotti (informazione provvisoria). Documento disponibile al seguente link  

[3] Cass. Sez. Unite, 22/02/2018, n. 8770/18

 

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