Ictus cerebrale: ecco le indicazioni degli esperti, rivolte ai non sanitari, su cosa fare (e soprattutto non fare) in caso di attacco
Una delle malattie cerebrovascolari più frequenti è l’ictus. Si tratta di una malattia invalidante e pericolosa, per questo è importante riconoscere subito i sintomi cosi da intervenire con tempestività per ridurne gli effetti. La riduzione dei tempi di arrivo in ospedale passa quindi per un cambiamento nei comportamenti dei cittadini, nella loro capacità di riconoscere immediatamente i sintomi di un ictus, e di agire di conseguenza. Per questo molti paesi, Italia compresa, si stanno svolgendo campagne di informazione sanitaria a questo scopo.
L’ictus, al contrario di quello che comunemente si crede, non riguarda soltanto gli anziani ma anche la popolazione più giovane, infatti un terzo dei pazienti colpito è in età minore di 75 anni. Le prospettive per il futuro non sono rosee: tra il 2015 e il 2035 i casi di ictus nell’Unione europea aumenteranno del 34%.
Ma in cosa consiste esattamente questa patologia? L’ictus (termine latino che letteralmente significa “colpo”, tradotto in inglese con “stroke”) è una malattia cerebrovascolare acuta che può avere due cause. La prima è la rottura di una arteria cerebrale, che interrompe il rifornimento di sangue ad alcune aree del cervello (ictus emorragico). La seconda causa è l’interruzione del flusso di sangue verso il cervello dovuta a un coagulo (ictus ischemico). Dei due tipi di ictus, circa l’85% è ictus ischemico e il 15% è emorragico. Questo determina in entrambi casi la morte delle cellule nervose dell’area interessata dall’ictus e, di conseguenza, la perdita delle funzioni neurologiche controllate da quell’area, che possono riguardare il movimento di un braccio o di una gamba, il linguaggio, la vista, l’equilibrio o altro.
L’ictus cerebrale è caratterizzato dalla comparsa improvvisa di uno o più dei seguenti sintomi:
- Bocca storta: più evidente quando si chiede al paziente di sorridere;
- Braccio debole: vi è l’incapacità di sollevare un braccio o di mantenerlo alzato allo stesso livello dell’altro;
- Difficoltà a parlare: la persona non riesce a parlare e/o non capisce, o parla farfugliando;
- Difficoltà nella vista: la persona vede annebbiato, non vede metà degli oggetti, oppure vede doppio;
- Forte mal di testa: mai provato prima, accompagnato spesso da nausea, vomito, perdita di coscienza.
Nel “TIA” (iniziali inglesi di “Transient Ischemic Attack”, in italiano attacco ischemico transitorio) si osserva l’improvvisa comparsa di segni e sintomi simili a quelli di un ictus che però, per definizione, hanno una durata inferiore alle 24 ore. Il TIA deve essere considerato con la massima attenzione, perché può essere un campanello di allarme per il verificarsi, nelle 24-48 ore successive, di un ictus vero e proprio: si manifesta, infatti, in circa un terzo dei soggetti che in seguito presentano un ictus ischemico. Inoltre, circa il 10% dei TIA recidiva a 5 anni.
Cosa fare in questi casi?
L’ictus cerebrale è una patologia “tempo-dipendente” per cui serve che le vittime arrivino molto velocemente in ospedale, e a monte che i cittadini siano in grado di riconoscere i sintomi dell’ictus e sappiano cosa fare in caso di necessità. In caso di comparsa di sintomi riferibili all’ictus o al TIA è indispensabile chiamare subito il 118 per il trasporto urgente e diretto in un ospedale specializzato nella cura dell’ictus. Sono infatti sempre più diffuse su tutto il territorio nazionale le “Stroke Unit“, terapie intensive neurovascolari dedicate a questa patologia, dove si procede alla terapia, alla stabilizzazione del paziente, alla prevenzione e al trattamento delle complicanze, sulla base delle più recenti evidenze scientifiche.
In caso si riconosca uno o più dei sintomi sopra descritti è assolutamente necessario evitare di perdere tempo: NON aspettare di vedere se i sintomi migliorano spontaneamente; NON chiamare e NON recarsi dal proprio medico di base o dalla Guardia Medica; NON recarsi in Pronto Soccorso con mezzi propri, anche per evitare di presentarsi in un ospedale dove non è presente la Stroke Unit. In questi casi il 118 provvede al trasporto del paziente presso l’ospedale più appropriato per le cure del caso (precoce terapia trombolitica nei pazienti con ictus ischemico o trattamento chirurgico nei pazienti con ictus emorragico), evitando pericolose perdite di tempo.
È importante anche annotare l’ora di esordio dei sintomi, perché i soccorritori del 118 e i medici del Pronto Soccorso devono sapere quanto tempo è trascorso per determinare la terapia appropriata. Se si interviene tra le 3-4 ore dall’esordio dell’ictus si hanno buone probabilità di un recupero.
Nello specifico, il trattamento in ospedale sarà diverso a seconda si tratti di ictus ischemico o emorragico, vediamoli singolarmente.
Trattamento dell’ictus ischemico
In presenza di ictus ischemico, l’obiettivo della terapia è ristabilire il flusso di sangue lungo il vaso sanguigno cerebrale occluso. A questo scopo si utilizzano specifiche terapie farmacologiche o chirurgiche. Vediamo i due ambiti.
Terapia farmacologica
L’ictus ischemico è curato con la somministrazione di un farmaco fibrinolitico, cioè che scioglie i coaguli di sangue e ripristina l’afflusso di sangue al cervello. Questo tipo di terapia, chiamata Trombolisi, è efficace se impiegata il prima possibile dalla comparsa dell’ictus mentre non è, generalmente, consigliabile qualora siano trascorse più di quattro ore e mezzo dall’inizio dei disturbi (o qualora siano presenti dei criteri di esclusione correlati con un aumentato rischio di sanguinamento). Dopo tale lasso di tempo, infatti, non vi è certezza che il farmaco possa essere benefico. È quindi raccomandato che il trattamento sia effettuato il più precocemente possibile.
Terapie chirurgiche
Come detto, particolari forme di ictus ischemico richiedono l’intervento chirurgico, in questo caso le metodiche utilizzate sono le seguenti:
Trombectomia meccanica (TM): i medici possono rimuovere il trombo che ha causato l’ictus, introducendo uno speciale catetere nelle arterie che irrorano l’encefalo. La TM, in associazione alla trombolisi di cui sopra, rappresenta il trattamento più efficace per l’ictus ischemico acuto dovuto a occlusioni di grosso vaso del circolo anteriore in pazienti opportunamente selezionati, in una determinata finestra temporale.
Disostruzione della carotide: in presenza di grave aterosclerosi carotidea si agisce in due modi:
- endoarteriectomia carotidea (TEA): il chirurgo apre l’arteria carotide che decorre nella parte laterale del collo e la ripulisce delle placche aterosclerotiche che la ostruiscono
- angioplastica e stent: il medico inserisce nella carotide (introdotto da un’arteria dell’inguine) un catetere sormontato da un palloncino che dilata l’arteria ostruita, inserendo poi una retina metallica (stent) per mantenerla aperta.
Trattamento dell’ictus emorragico
Circa il 15-20% degli ictus è di origine emorragica. In questo caso la patogenesi è riferibile nella maggior parte dei casi alla rottura di un vaso arterioso dovuto a malattia ipertensiva ed è correlata all’incremento dell’uso di anticoagulanti orali. Per rimuovere il sangue dalla sede di lesione e riparare i vasi sanguigni si ricorre alla neurochirurgia. L’intervento è volto a bloccare l’emorragia in corso e ridurre la pressione esercitata dal sangue sul tessuto cerebrale.
Fattori di rischio per l’ictus
I fattori di rischio per l’ictus cerebrale sono ipertensione, diabete, cattiva alimentazione, sovrappeso, fumo, alcool, vita sedentaria, inquinamento ambientale. Quello più rilevante è però la Fibrillazione atriale (FA). Questa è un’aritmia cardiaca che aumenta di 4-5 volte il rischio di ictus ischemico ed è associato a un aumento della mortalità e della disabilità. La FA favorisce infatti la formazione di trombi nell’atrio sinistro del cuore che possono distaccarsi e raggiungere il circolo cerebrale causando l’ictus. Pertanto per contrastare le conseguenze di questa aritmia dovranno essere implementate adeguate strategie terapeutiche basate sull’impiego dei farmaci anticoagulanti. Il rischio di ictus, in assenza di anticoagulante, aumenta in modo esponenziale con l’età, è alto tra i 70 e gli 80 anni, altissimo dopo gli 80. Questo è quindi proprio il periodo in cui il paziente deve prendere i farmaci perché il rischio è alto. Un particolare protocollo (CHA2DS2-VASc) permette di sapere il rischio di un paziente per ictus, se ha un punteggio maggiore o uguale a 2 deve assumere l’anticoagulante (clicca qui per compilare gratuitamente il protocollo).
E dopo?
Particolare importanza riveste poi la continuità assistenziale offerta al paziente con ictus nella fase post-acuzie, mirata alla prevenzione delle complicanze e delle recidive e al recupero funzionale delle capacità motorie e cognitive.
Attenzione: le informazioni fornite in questo articolo hanno natura generale e sono pubblicate a scopo puramente divulgativo, pertanto non possono sostituire in alcun caso il parere dei professionisti sanitari.
In un altro articolo abbiamo parlato della trombosi venosa profonda (link).
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FONTI
Ministero della Salute. “Documento informativo per il cittadino sulla prevenzione delle malattie cerebrovascolari lungo il corso della vita“. Gruppo di lavoro sulle malattie cerebrovascolari dell’Alleanza Italiana per le malattie cardio-cerebrovascolari. Maggio 2021 (link)
Regione Toscana. “Ictus: pochi minuti valgono una vita” (link)
Istituto Superiore di sanità. “L’Ictus.” (link)
Ministero della Salute. “Trattamento dell’ictus ischemico in fase acuta”. (link)
Associazione Italiana di Neuroradiologia – Associazione Italiana Ictus. “Terapie di rivascolarizzazione dell’ictus ischemico acuto“. Linea guida pubblicata nel Sistema Nazionale Linee Guida. Roma, 13 gennaio 2023
Raitre, intervista al Prof. Carlo Caltagirone, Direttore scientifico IRRCS S. Lucia di Roma (09-12-2022)
Agenas. “Gruppo Tecnico per l’elaborazione di proposte per l’attuazione e l’evoluzione della rete assistenziale dell’ictus – Relazione conclusiva”. Marzo 2023. Pagg. 15-18
“Ictus. Quanto sono efficaci le campagne di informazione sanitaria? Ecco lo studio dell’Ufficio valutazione impatto del Senato“. Articolo pubblicato sul sito di informazione sanitaria QuotidianoSanità il 03-05-2023