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Triage in Pronto Soccorso: aspetti legali e di responsabilità professionale

 

Sono sempre più numerosi i casi di responsabilità sanitaria derivanti da un errato triage in Pronto Soccorso. Vediamo quali risvolti possono configurarsi per l’infermiere di triage in caso di danni al paziente

 

Il triage (dal francese “trier”, scegliere, selezionare, perchè utilizzato per la prima volta sui teatri di guerra durante le campagne napoleoniche), è un’attività che serve a determinare, attraverso l’identificazione del grado di criticità e di complessità clinica di un paziente, la priorità di accesso in sala visita in Pronto Soccorso (PS), in presenza di più persone che necessitano di assistenza e cure urgenti.

Al grado di criticità rilevato corrisponde un codice, dal rosso per i casi più gravi con accesso immediato, fino al bianco per i problemi minori, passando per il giallo a cui sono concessi solo pochi minuti di attesa fino al verde che corrisponde all’urgenza differibile. Le nuove linee di indirizzo ministeriali in realtà prevedono 5 colori: rosso, arancione, azzurro, verde, bianco ma non tutte le Regioni hanno ancora applicato il nuovo sistema (ciò può comportare delle criticità, come vedremo). 

In Italia il triage in Pronto Soccorso è praticato per legge[1] dagli infermieri i quali sono pertanto la categoria che può andare incontro a eventuali conseguenze in caso di errore nello svolgimento di tale attività. Si è tornato a parlare recentemente del triage a causa di una sentenza che ha visto la condanna per omicidio colposo di un infermiere giudicato colpevole per aver assegnato un codice errato, verde anziché giallo, ad un paziente poi deceduto per aneurisma dell’aorta.[2]

L’Agenas, agenzia facente capo al Ministero della salute, ha pubblicato il suo ultimo rapporto relativo agli eventi più gravi segnalati dalle strutture sanitarie[3, 4] Nel periodo considerato sono pervenute 2714 segnalazioni, di questi gli eventi più gravi che hanno riguardato l’inadeguata attribuzione del codice triage nella centrale operativa 118 e/o all’interno del Pronto Soccorso sono stati 23. Ai fini della prevenzione di tali eventi il Ministero della Salute ha emanato un’apposita Raccomandazione la quale dispone che tutte le strutture sanitarie di emergenza, ospedaliere ed extraospedaliere in cui sia attiva la funzione di triage, siano tenute ad individuare ed adottare adeguate misure organizzative, formative e assistenziali atte a prevenire gli eventi avversi o minimizzare gli effetti conseguenti a una non corretta attribuzione del codice di triage.[5]

 

Triage in Pronto Soccorso: quali rischi dal punto di vista della responsabilità professionale?

Il ruolo dell’infermiere di triage (detto anche “triagista”) comporta una grande responsabilità, in quanto deve interpretare rapidamente quanto riferitogli, il più delle volte in modo concitato dal paziente o da chi lo accompagna, al fine dell’assegnazione del giusto codice di gravità. Ma quali sono i rischi principali al quale può andare incontro l’operatore nello svolgimento di questa funzione? Elenchiamo di seguito i principali.

1) Nell’attribuzione del codice di triage il rischio maggiore è quello di sottostimare i pazienti rispetto alla loro reale situazione. I pazienti sottostimati sono quelli che possono andare incontro a morte o subire lesioni a causa del mancato o ritardato intervento assistenziale. In tali casi l’operatore di triage, qualora il Giudice riconosca un “nesso di causalità” (cioè un rapporto di causa-effetto) tra la sua condotta e il danno subito dal paziente, può rispondere del reato di lesioni personali colpose od omicidio colposo, a seconda dell’entità del danno. La sovrastima invece non determina danni diretti ma indiretti in quanto causa un’attesa maggiore per gli altri pazienti, in assenza di condizioni che lo giustifichino. Una corretta compilazione della scheda di triage è fondamentale per documentare il processo decisionale che ha portato all’attribuzione del codice di priorità. Omettere di effettuare le dovute attività in questo senso può esporre gli operatori sanitari a responsabilità, in caso di morte o danno al paziente. Ad esempio non rilevare i parametri vitali, rilievo obbligatorio per tutti i pazienti che giungano in condizioni critiche, o non provvedere all’esecuzione dell’elettrocardiogramma nei pazienti con dolore toracico le cui caratteristiche facciano sospettare un problema cardiaco. Nel 2017 un infermiere di triage è stato condannato per omicidio colposo per aver assegnato un codice errato, verde anziché giallo, a un paziente poi deceduto per infarto del miocardio; i Giudici hanno evidenziato come l’esecuzione dell’elettrocardiogramma entro trenta minuti, pratica omessa dall’infermiere, avrebbe consentito una più tempestiva diagnosi e quindi maggiori possibilità di sopravvivenza per il paziente (per dovere di cronaca si sottolinea che l’infermiere non ha subito, nel caso in esame, una condanna penale per intervenuta prescrizione del reato, ma che la sua responsabilità è stata comunque riconosciuta).[6] 

2) Altro rischio è quello di non accettare un paziente che si sia presentato spontaneamente in PS, per inviarlo al medico di famiglia o alla guardia medica (il cosiddetto “triage-out”). Infatti l’infermiere, non essendo abilitato a porre diagnosi, che è di competenza del medico, non può decidere in autonomia di rifiutare un paziente che abbia chiesto assistenza, neanche in caso di manifesta inappropriatezza della sua richiesta (esempio tipico l’etilista cronico). Eventuali rifiuti ingiustificati possono configurare il reato di “Rifiuto di atti di ufficio” (art. 328 c.p.) e, laddove dall’omissione derivi il decesso del paziente, il reato di “Omicidio colposo” (art. 589 c.p.).[7] Per “ufficio” si intende in questi casi il dovere di curare e assistere i pazienti.

3) Altra condizione di rischio è la mancata rivalutazione del paziente, condizione che ha portato in più occasioni a una condanna per l’infermiere. La Raccomandazione ministeriale sopracitata per la prevenzione degli errori di triage in Pronto Soccorso assegna particolare importanza alla rivalutazione dei pazienti, considerata una fase fondamentale del processo di triage, in quanto “permette di evidenziare elementi di aggravamento del quadro clinico iniziale che potrebbero portare ad una modificazione del codice di priorità assegnato”. Anche le più recenti linee di indirizzo ministeriali pongono l’accento sulla “rivalutazione periodica dei pazienti per la conferma o modifica del codice di priorità”.[8]

4) Altra evenienza di cui l’infermiere triagista può essere chiamato a rispondere è la violazione del “Segreto professionale” (art. 622 c.p.), nei casi in cui la legge imponga la tutela della riservatezza di alcune categorie di pazienti (vittime di violenza sessuale, trapiantati, HIV, tossicodipendenti, interruzione volontaria di gravidanza). A tal fine il sistema informatico ha la possibilità di rendere anonimi i dati oscurando nome, cognome, ecc. Analoghe considerazioni riguardano la “violazione della privacy” laddove l’infermiere di triage fornisca dati sensibili sullo stato di salute di un paziente a terze persone senza che lo stesso abbia acconsentito preventivamente a tali comunicazioni.

 

Il ruolo dei protocolli 

Il personale infermieristico opera in Pronto Soccorso “sulla base di linee guida e protocolli in continuo aggiornamento”,[9] e “protocolli di Triage approvati dal responsabile medico ed infermieristico del servizio”.[10] Cosa comporta per gli operatori il mancato rispetto dei protocolli? L’errata applicazione del protocollo, in fase iniziale o di rivalutazione, ricade sulla responsabilità dell’infermiere di triage. Affinchè sia rimproverabile all’infermiere il reato di omicidio colposo o lesioni colpose, la condotta dell’infermiere deve essere contraria a regole di prudenza, diligenza, perizia ovvero inosservante di leggi, regolamenti o discipline specifiche (art. 43 c.p.).[11] Documenti quali linee guida e protocolli possono essere considerate aventi carattere di regolamento, ordine o disciplina, cosicchè il loro mancato rispetto può configurare il requisito dell’inosservanza contemplato dal suddetto art. 43. Da ciò discende come i protocolli debbano essere sempre rispettati. La Legge n. 24/2017 sulla responsabilità professionale e la sicurezza delle cure (più nota come “legge Gelli”) ha sancito di fatto l’obbligatorietà per gli esercenti le professioni sanitarie di attenersi alle buone pratiche clinico-assistenziali e alle raccomandazioni indicate dalle linee guida, cosi che il rispetto dei protocolli, che sono la declinazione a livello locale delle linee guida, diviene fondamentale, potendo costituire per l’operatore sanitario un fattore esimente di colpa in sede processuale.[12]

 

Iperafflusso in PS

Ma in caso di errore è sempre e solo colpa di infermieri e medici? Forse no. Come dimostrato dalla letteratura internazionale, le cause degli errori e degli avvenimenti avversi in sanità sono spesso da ricercarsi nell’intera organizzazione del lavoro, che crea le condizioni favorevoli al verificarsi dell’errore, e non solo nel comportamento del singolo.[13] È naturale che per la gestione dell’attesa di un gran numero di pazienti, e la loro continua rivalutazione e sorveglianza, sia necessario un numero adeguato di operatori, come tra l’altro richiede la normativa e le linee di indirizzo ministeriali[14, 15] condizione non sempre rispettata dalle aziende sanitarie, per le note carenze di personale. Nelle condizioni attuali, in cui i PS sono presi d’assalto da pazienti che non trovano soluzioni di cura e assistenza sul territorio per i loro bisogni di salute, le vittime rischiano di essere, paradossalmente, oltre ai pazienti, proprio gli stessi infermieri e medici del Pronto Soccorso.[16]

Più sentenze della Cassazione[17, 18] hanno stabilito che il superafflusso dei pazienti non può in alcun modo giustificare la non corretta attribuzione del codice di triage (lo stesso per la mancata rivalutazione del paziente), anzi, secondo la Cassazione è lo stesso personale del PS che, in presenza di un eccezionale afflusso di pazienti, deve chiedere aiuto ai reparti per far fronte alla situazione di emergenza. Questa soluzione sembra non tener conto delle gravi condizioni in cui si trova ad operare il personale del Pronto Soccorso, il quale in un momento di iperafflusso e di caos, come potrebbe occuparsi di altri compiti, per di più di non facile e rapida esecuzione, come il reperimento nei reparti di medici ed infermieri? Sarebbe allora forse più realistico considerare, sull’esempio del “Team di emergenza intraospedaliera” (ne abbiamo parlato qui), la creazione e organizzazione, in ogni struttura ospedaliera, di una apposita squadra di intervento, composta da medici ed infermieri, di norma impegnati nei reparti, da chiamare solo in caso di necessità. 

Importante, affinchè agisca con più serenità e meno pressione, fonti spesso di errore, è che l’infermiere triagista sia svincolato da altre attività che lo possano distogliere dai suoi compiti, per esempio dare informazioni, fornire assistenza diretta ai pazienti, rispondere al telefono, occuparsi della ricerca dei posti letto, del fax, ecc. [19]

A fini preventivi il triage a cinque colori, anzichè quattro come impostato attualmente, porterebbe a differenziare maggiormente le priorità dei pazienti soprattutto rispetto al codice verde che, essendo il codice di più frequente assegnazione, non consente di differenziare adeguatamente i pazienti, esponendoli al rischio di eventi sfavorevoli legati alle lunghe attese, come emerge anche dalla letteratura scientifica internazionale.[20]

 

 

In un altro articolo abbiamo parlato dei rischi legati al sovraffollamento in Pronto Soccorso (qui).

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BIBLIOGRAFIA

[1] Linee guida n. 1/1996 per il sistema di emergenza-urgenza, in applicazione del D.P.R. 27 marzo 1992

[2]Morto dopo 7 ore al pronto soccorso, condannato l’infermiere che lo classificò “codice verde“. Sito web La Repubblica, 19-07-2022

[3] AGENAS. “Indicatori per la sicurezza delle cure – Allegato 1”. Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, 2019 (link)

[4] Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali. “Protocollo per il Monitoraggio degli Eventi Sentinella”. 2009

[5] Ministero della salute. “Morte o grave danno conseguente a una non corretta attribuzione del codice triage nella Centrale Operativa 118 e/o all’interno del Pronto Soccorso”. Raccomandazione n. 15, 2013

[6] Cassazione, IV sezione penale, sentenza 10-04-2017, n. 18100

[7] Cassazione, IV sezione penale, sentenza 27-9-2016, n. 40036

[8] Ministero della salute. “Linee di indirizzo nazionali sul triage intraospedaliero”. Agosto 2019. Pag. 22 (link

[9] Ibidem. Pag. 36

[10] Ibidem. Pag. 19

[11] Benci L. “Aspetti giuridici della professione infermieristica”. Mc Graw Hill, 2011. Pag. 180

[12] Legge n. 24/2017. “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie

[13] Reason J. “Human error: models and management”. Bmj, 2000

[14] Conferenza Stato Regioni, Accordo 25 ottobre 2001 (“Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome sul documento di linee guida sul sistema di emergenza sanitaria concernente: Triage intraospedaliero (valutazione gravità all’ingresso e chirurgia della mano e microchirurgia nel sistema dell’emergenza-urgenza sanitaria”, Gazzetta Ufficiale n. 285 del 7 dicembre 2001)

[15] Ministero della salute. “Linee di indirizzo nazionali sul triage intraospedaliero”. Agosto 2019. Pag. 21

[16] Benci L. “Cassazione. Confermata condanna per omicidio colposo a infermiere che aveva dato un codice verde anziché giallo al pronto soccorso”. Sito web QuotidianoSanità, 02 maggio 2017

[17] Cassazione penale, Sezione IV, sentenza n. 11601/2015

[18] Cassazione, IV sezione penale, sentenza 10-04-2017, n. 18100

[19] Valerio Gai “Triage: procedimento decisionale al servizio del paziente“. Edizioni medico scientifiche, 1999. Pag. 38

[20] Ministero della salute. “Linee di indirizzo nazionali sul triage intraospedaliero”. Agosto 2019. Pag. 8

 

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